La Terra e la ragazza

15 marzo 2019: primo sciopero mondiale per la difesa del clima. Prende il nome Global Strike For Future. È come lo avesse indetto direttamente il pianeta Terra. La scorsa estate in Svezia, nonostante la sua latitudine nordica, sono andate in fiamme ingenti estensioni boschive. La causa: il surriscaldamento climatico. Una adolescente di quindici anni, Greta Thunberg decide di non andare più scuola. Si piazza davanti al Parlamento svedese, proclamando da sola il primo sciopero della scuola per il clima. La ragazza è anche affetta da sindrome di Asperger, una forma di autismo che non compromette le facoltà linguistiche e cognitive di chi ne soffre. Il pianeta Terra ha chiamato il suo angelo dell’annunciazione: l’essere più insolito, indifeso, cagionevole ma più tenacemente ragionevole per dare voce al suo messaggio.

Greta non molla la sua azione fino alle successive elezioni politiche svedesi del 9 settembre 2018. Chiede la riduzione delle emissioni di carbonio, come previsto dagli accordi di Parigi del 2015 (COP 21). Il suo sciopero prende la forma del #FridayForFuture, i venerdì per il futuro. Con una sintonia immediata, istintiva, profonda, un numero sempre crescente di ragazze e ragazzi si ritrova attorno a Greta. È la voce di Gaia, del pianeta Terra, che risuona sotterraneamente in loro. Voce che intona la sua disperazione nel tono di irruenza e gioia dei ragazzi. E dalla Svezia si propaga in tutta Europa, e poi negli altri continenti.

Anche in Australia. Il Primo Ministro Scott Morrison, pure lui assediato dai venerdì per il futuro, sclera: “Ciò che vogliamo è più apprendimento scolastico e meno attivismo”. Una frase come questa dimostra la distanza ormai non più recuperabile tra politica, istituzioni, economia e Terra. Dei ragazzini, ossia le future generazioni, dovrebbero starsene sedute composte sui banchi di scuola a bollire poco la volta dentro le aule, mentre i loro primi ministri, banchieri, finanzieri, industriali, commercianti, militari, poliziotti, continuano a tenere alta la fiamma sotto il pentolone del mondo. E se non fosse lo stesso aumento di calore – sempre meno tollerabile – a rendere loro impossibile stare immobili, sarebbe poi proprio quel più apprendimento, più studio a dimostrare loro scientificamente che stiamo non solo tagliando il ramo su cui siamo seduti, ma dando dolosamente fuoco all’intera pianta.

Gli scienziati, infatti, stanno anche loro aderendo in numero crescente a questo sciopero della Terra. Sono già circa tredicimila gli scienziati svizzeri, tedeschi, austriaci che hanno ufficialmente aderito all’iniziativa di Greta. Dobbiamo qui ricordare – e Stampa Critica se ne era puntualmente occupata – che il 22 aprile del 2017 ricercatori e scienziati di tutto il mondo dettero luogo alla Prima Marcia della Scienza, in concomitanza e appoggio all’Earth Day, la Giornata Mondiale della Terra. Le manifestazioni si svolsero in oltre 500 città di ogni continente.

Scrivevamo in quel numero (07/2017):“La Marcia della Scienza segna così il configurarsi di una soglia epocale su cui più acuto ma anche più chiaro si fa il vero conflitto tra passato e futuro. Alla sua luce molte dispute politiche locali e anche transnazionali certamente non si attenueranno ma appariranno via via in una nuova scala storica e universale”. A distanza di appena due anni questo confronto risulta ancora più accentuato. Soprattutto in Italia, una delle aree geografiche dove la soglia dell’innalzamento termico-climatico si fa sempre più critica. E dove abbiamo una classe politico-imprenditoriale totalmente dedita alla sua vetero-ossessione a renderci ancora schiavi del vecchio paradigma, della deleteria ideologia del profittocosti quel che costi. Distanza che drammaticamente misuriamo proprio dalla rapida ascesa e accelerato declino di una forza politica che con sfolgorio pirotecnico annunciava di portarci con certezza verso il futuro. Grillo, infatti, pensa che basti schioccare le dita delle attuali e prossime mirabilia tecno-scientifiche per risolvere i mali del passato. Scambia una parte del futuro, quella più appariscente, per il suo tutto. Ossia senza volere mettere mai in discussione il potere di chi si ostina a imporre l’interesse sempre più devastante del suo profitto privato.

Il 17 dicembre 2018, al vertice COP 24 sul clima di Katowice in Polonia, davanti ai leader mondiali, la quindicenne Greta Thunberg ha invece chiaramente affermato: “La biosfera è sacrificata perché alcuni possano vivere in maniera lussuosa. La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi. Se è impossibile trovare soluzioni all’interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema”. Il mondo, istituzionalmente, politicamente inteso, da Sergio Mattarella a Angela Merkel, sta tributando a Greta il riconoscimento che certamente e pienamente merita. I deputati del Parlamento norvegese hanno ufficialmente posto la sua candidatura al Nobel per la Pace. La relazione tra la Terra e la ragazza è però di altro tipo. Dato che non c’è salvezza, futuro del pianeta senza l’aprirsi dello sguardo e del cammino alla necessità ineluttabile di una nuova civiltà.

di Riccardo Tavani