Lo schermo strappato della follia

C’è un cinema che non si vede, che scarsamente arriva sugli schermi cittadini. Eppure è un grande cinema, che sia di finzione o di realtà. Un documentario, infatti, è un film d’autore soltanto se i contenuti che ci mostra sono stratificati dentro gli elementi formali propri dell’arte cinematografica. Intendiamo inquadrature, sequenze, qualità fotografica, movimenti della macchina da presa, montaggio, ecc. È qui la differenza tra film e inchiesta giornalistica televisiva, e non per svalutare quest’ultima nel suo valore di denuncia, attualità, informazione. Solo che gli elementi formali del cinema permettono in più di sintetizzare poeticamente, drammaticamente un’esperienza umana – anche particolarissima, persino singolare – per elevarla a un valore esistenziale più generale, che riverbera un’eco profonda dentro di noi.

È quello che ci succede con il film di Francesco Cordio Lo stato della follia.  Del regista abbiamo già parlato su queste pagine per il suo film Roma Golpe Capitale, sulla defenestrazione del Sindaco di Roma Ignazio Marino da parte del suo partito, il Pd (Stampa Critica N. 05/2018). Un’opera di impegno e bellezza cinematografica, abbiamo definito quel film. Anch’esso, però, senza distribuzione ed esiliato dalle sale. I grandi schermi cittadini e nazionali se li è guadagnati partendo caparbiamente da quelli piccoli, sconosciuti delle associazioni, dei circoli di periferia, ingrossandosi come un fiume lungo il suo percorso. Il Cinema Farnese, una delle sale storiche più prestigiose di Roma, ha registrato una serie impressionante di sold out, di biglietti esauriti a ogni nuova proiezione. Proprio a seguito di questo inaspettato quanto meritato successo di pubblico e anche di critica, il Farnese ha poi proiettato anche Lo stato della Follia. Film del 2013, ossia precedente a quello sul Sindaco di Roma, esso è stato però l’occasione per l’incontro tra il regista e Ignazio Marino. Eletto nel 2008 al Senato, Marino è stato Presidente della Commissione Igiene e Sanità che ha svolto un’indagine anche sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, gli OPG, tristemente denominati manicomi giudiziari.L’inchiesta di Marino e degli altri senatori componenti la Commissione è stata documentata passo per passo da Francesco Cordio che già si era occupato del tema con un suo film del 2011 OPG – Dove vive l’uomo?

Il film è un vero viaggio all’inferno, anzi, un’interastagione all’inferno, con un Dante o un Rimbaud, nelle sembianze di Luigi Rigoni, attore dell’avanguardia teatrale romana degli anni ’70, precipitato per anni nel manicomio giudiziario di Aversa, dal quale è riemerso con un carico di dolore straziante, ma con una lucidità drammatico-poetica capace di farcene esplorare ogni abisso. Cordio entra con Marino e gli altri commissari dentro la devastazione delle luride celle manicomiali: la deformazione degli spazi, dei volti, delle voci, delle implorazioni è tale che è come se il mezzo tecnico stesso, la macchina da presa, subisse una torsione nel cercare la distanza, la messa a fuoco, le inquadrature giuste per darci insieme sia il disorientamento che afferra il regista, sia il coraggio di mantenere fermo lo sguardo in faccia a quella realtà fuori obbiettivo. Sui corridoi voci straziate chiamano Cordio da dietro le sbarre, i vetri blindati di ogni cella, lui si avvicina, ascolta, registra testimonianze di un orrore esistenziale e farmacologico che strappa la parola speranza dalle pagine di ogni originario dizionario umano. La fermezza visiva dentro l’urto, il tumulto tragico di quel reale che gli rotola addosso, che lo colpisce violentemente fin da sotto la pianta dei piedi, fa staccare al regista immagini di una potenza cinematografica tale da tremore ai polsi. Dentro o alla fine di ogni girone – nel montaggio –, Cordio affida poi all’azione narrativa di Luigi Rigoni il compito di ricondurre a una qualche forma umanamente dicibile, comprensibile il magma senza fondo di ragione e redenzione appena visto.

Scopriamo con terrore come a tante di queste anime è bastato poco, anzi quasi niente, un soffio accidentale d’errore, di inciampo, slittamento psicofisico per finire dietro le mura della città non dolente ma dilaniante. Episodi anche insulsi, sbrigative quanto ciniche, interpretazioni diagnostiche, prognosi, restrizioni circoscritte a qualche mese tramutatesi in anni, lustri, ventenni, ergastoli di fatto, però mai giuridicamente sentenziati. Bombardamenti al Napalm farmacologico su quella Cambogia fatta di grida, pianti, giaculatorie ossessive, cancelli, porte, pareti sbranate dall’umido fetido, pagliericci urinati, buioli scavati direttamente nel pavimento sotto i letti di contenzioni. Eccola l’altra faccia della civiltà, quella nascosta, quella negata, vietata alla visione dei non addetti strettamente ai lavori. Una macelleria neanche di bestie ma di informi cervelli e corpi spietatamente spinti sotto la soglia dell’umano: esseri trans-infernali. Eppure questi luoghi di dannazione eterna in terra di civiltà dovrebbero essere chiusi in base a sentenze, leggi, decreti che dallo scorso secolo arrivano fino ai giorni nostri, ma sempre disattesi, inapplicati, rinviati. Come l’ultimo decreto governativo del 1° aprile 2008 che prevede in un suo allegato il superamento degli OPG e il passaggio di tutte le loro competenze al Servizio Sanitario Nazionale e non più a quello penitenziario. Sarà che era il 1° aprile, ma – come si fosse trattato davvero del più crudele di pesci d’aprile – le Regioni hanno chiesto il rinvio della sua applicazione al 2017. Nel frattempo, però, non sono state ancora completate le Residenze Sanitarie (REMS) che dovrebbero sostituire i manicomi giudiziari. Circa 1300 dannati continuano a essere così illegalmente incarcerati, ma – soprattutto – condannati a una condizione oggettivamente e tecnicamente fatta di tortura. Sei sono gli OPG, situati a Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Reggio Emilia, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere (Mantova).

Sì, forse possiamo dire che si tratta di una vicenda del tutto particolare, che riguarda in fondo un numero statisticamente irrilevante di persone. La forza cinematografiche delle immagini di Francesco Cordio ci squarcia invece una comprensione più generale, per non dire universale sulla tragedia narrata. Se all’interno delle nostre città, ai suoi confini più prossimi, nelle sue immediate periferie, province, solo un tale invisibile, labile confine ci separa da spazi del più brutale esercizio dell’inciviltà, significa che una minaccia intollerabile pende su tutti noi. E non serve nasconderla. Anzi, al contrario bisogna mostrarla al meglio delle qualità visive, arrivare fino a strappare via la pelle dello schermo, perché è facile mettere inavvertitamente un piede in fallo e varcare inesorabilmente quel confine occultato.

Per tale ragione è importante vedere questo film, richiederlo, organizzare proiezione nei circoli, nelle associazioni, nelle scuole, nei comitati di quartiere. Il regista Francesco Cordio è sempre disponibile a partecipare a incontri e presentazioni. Basta chiamarlo. Distribuzione: Ownair srl. Contatti: film@teatridinina.org

di Riccardo Tavani

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