Immigrazione e patriarcato

Patria: termine da cui discende quello di patriarcato: ossia terra e legge legate al padre. Il termine nazione, invece, relativo alla nascita, dovrebbe attenere più alla madre, perché è innanzitutto in questa, da questa che si nasce. Non è così, però: la madre è sempre negata per via di sottomissione. E a mostrarlo oggi ancora più pienamente è proprio la vicenda dell’immigrazione. Questa, infatti, compie un atto – scelto o costretto – di separazione dal luogo della nascita. La patria, il patriarcato, invece, non è possibile lasciarli lì, non trascinarseli dietro, dentro. La legge del padre è come quello che Kant definisce un imperativo categorico, valido per imposizione patriarcale alla fonte battesimale,  erga omnes, per tute le anime e le coscienze, oltre il genere e il sesso. Il luogo d’arrivo – quello prescelto in partenza o capitato in sorte in itinere –  è perciò terra, suolo che in quanto tale non può sottrarsi alla sua funzione di utero materno per l’inseminazione de iure patriae.

D’altronde – a parte minime enclave etniche – nella geografia politica del mondo presente non si dà luogo fisico alla legge della madre, alla Matria. Per questo anche la nazione, il luogo dell’atto del nascere, anziché sotto quello della madre è sempre sotto il nome del padre, del suo sistema di potere che da familiare si erige a Stato. E così è anche per la lingua, nonostante si chiami madrelingua, e si sugga con il latte materno già al primo vagito. Tanto che da dovunque si parta e ovunque si arrivi, qualunque idioma si parli, e credenze si professino, si dà per scontata l’esteriore erezione pubblica del proprio interiore edificio arcaico patriarcale. Con una libertà, inoltre, mai sperimentata rispetto a suolo e sottosuolo di provenienza. L’Occidente democratico, infatti, riconosce libertà di culto, usi e costumi. Soprattutto non se ne serve più da tempo quali strumenti di controllo e repressione ai fini del mantenimento di regimi autoritari. E tale libertà – universalmente riconosciuta a tutti – è il portato di un lungo processo storico, di secoli di pensiero, di je accuse, di sacrifici, lotte contro le persecuzioni, i processi, i roghi, da Giordano Bruno, a Galileo, all’Illuminismo, alla Rivoluzione Francese, ai movimenti laici, anticlericali, femministi, omo e transessuali della contemporaneità. E come potrebbe, e perché dovrebbe tale portato laico sopportare a lungo altri clericalismi, fondamentalismi, oppressioni culturali e non ribellarsi a essi? Solo perché sono oscurantismi d’importazione, provenienti, per di più, dai dannati delle rapine economiche e dagli eccidi ex-coloniali? E che per questo salviamo alle frontiere di mare e di terra, anche se destinati all’attuale sfruttamento  e razzismo interno?

È vero, infatti, che all’Occidente interessa solo labore et legem, la legge del lavoro, ai meri fini della resa, del profitto economico capitalista. Ora et labora, prega e lavora, non scassare con diritti e redditi: nella libertà concessati c’è già più di metà del salario elargito. La stragrande maggioranza degli immigrati sono così brave persone e onesti lavoratori. Le bronzee leggi dell’economia, ossia della libertà di mercato, di sfruttamento di braccia e merci sono del tutto indifferenti all’arcaico convitato di pietra patriarcale che può albergare in uno di quei forzati d’opera. Tanto che negli stessi conflitti sindacali, nelle lotte per i diritti civili degli immigrati, tale convitato se ne resta muto, taciuto, indisturbato, invisibile. Eppure è sempre presente, latente. Presente nella sfera privata familiare, latente in quella sociale pubblica. E all’improvviso emerge, riempendo di nuova schiuma la social-cronaca nera e politica.

È destinato così a dischiudersi sempre più un conflitto tra difesa dei diritti sociali dell’immigrazione e le conseguenze dell’inevitabile innesto sulle nostre sponde del patriarcato che negli usi, costumi e fedi essa, dalle diverse sponde di provenienza, si trascina dietro e dentro. Patriarcato d’origine, che determina una tacita intesa, un’alleanza sotterranea con quello d’arrivo: il nostro. Non dimentichiamo che in Italia fino al 1981 c’era la legge sul cosiddetto delitto d’onore, ossia la forte attenuazione della condanna per l’omicidio della moglie o della sorella, macchiatesi della colpa di aver disonorato la famiglia, ossia l’onore del maschio, del padre-marito-fratello, ossia dell’unico legittimo fondamento familiare e statale. Che in Inghilterra, nel 1954, a causa della sua omosessualità, fu costretto al suicidio per persecuzione e costrizione igienico-sanitaria Alan Turing, il geniale matematico e primo ideatore del computer, che aveva decrittato il codice militare nazista Enigma, salvando la propria patria, l’intera Europa dalla brutale dittatura hitleriana.

Pur ridimensionato, condizionato da leggi e da una diffusa cultura e impegno civile, il nostro patriarcato rimane dunque sempre vivo e pulsante a fior di pelle del sottosuolo, appena sotto la superficie epidemica della società. Lo dimostrano i continui arbitrii, abusi, stupri, violenze, ferimenti, omicidi, aggressioni, gogne mediatiche ai danni di donne, diversi di ogni tipo, gay, trans, immigrati, portatori di handicap. Perché la legge del padre è soprattutto legge della forza, la quale per l’esercizio del proprio potere ha vitale bisogno di una debolezza, di una vittima da umiliare, violentare, sottomettere, sopprimere, negare. È infatti negazione della giustizia. Chiunque la pratichi nella transitoria posizione che può occupare nel mutare della storia umana. Oggi negato, domani negatore. Solo la coscienza e la testimonianza opposta a tale suprema negazione ci può accomunare e salvare.

di Riccardo Tavani 

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