La follia rivoluzionaria di Don Chisciotte

“Io Don Chisciotte che mai fui in possesso della facoltà fisica e mentale, ma ebbi il coraggio di essere me stesso davanti a tutti e ciò mi fu fatale, dispongo e sottoscrivo quanto appresso perché cambiando tutto resti uguale…”

Don Chisciotte va in scena all’Ambra Jovinelli di Roma con un adattamento nella sua semplicità complesso, che riempie il palcoscenico, in tutta la sua interezza. Ronzinante, il cavallo di Don Chisciotte è fantastico, nel suo “cavalcare” la scena, con movimenti elegantemente sconnessi, con il nitrito frenato ma liberato, folle come il suo padrone. Alessio Boni è notevole, la sua interpretazione non lascia spazio a dubbi sulla sua bravura e capacità affabulatoria.

Sicuramente aiutato da una grande spalla, una donna eccezionale che merita l’applauso dalla prima battuta all’ultima. Serra Yilmaz, un Sancho talmente dentro i suoi panni da non dover neanche recitare, ogni cosa, ogni gesto, ogni movimento è pura arte teatrale. Sulla scena sono tutti, nessuno escluso, sincronizzati nel ritmo dei movimenti e nei tempi delle battute che strappano applausi in continuazione, grazie all’ottimo lavoro della regia. Non era facile traslare Cervantes, la sua follia, sul palcoscenico di un teatro. Loro ci sono ampiamente riusciti, trasmettendo i sogni, le illusioni e più ancora la follia rivoluzionaria che mette in discussione la banale esistenza fatta di ipocrisia. Unico modo per recuperare la propria vita e vitalità è la follia di non sentirsi prigionieri di una quotidianità che non ci appartiene.

Don Chisciotte è fuori ogni logica di normalità alla quale tutto vogliono imprigionarlo, per primi il “Clero” cioè la Chiesa conservatrice spaventata da qualsiasi forma di modernità. Poi la famiglia, così devota al “Clero” da non accorgersi, che sta uccidendo suo fratello, malconsigliata. Un “Clero” che ha paura dei libri, della conoscenza, della filosofia e quindi, come un inquisitore, condanna al rogo il “sapere”. Don Chisciotte si ribella a tutta questa “follia” normalità, coinvolgendo il suo scudiero “il popolo” in cerca di rivinciate sociale fino al punto di essere preda facile, per la burla del conte che lo nomina governatore dell’isola che non c’è. Solo Don Chisciotte, nella sua follia, cercatotrice di illusioni, comprende l’amara verità di come vogliono fermare la capacità di ognuno di sognare e riprendersi la propria vita. Ed ecco le parole in punto di morte che rilanciano la vita: “A Sancho lascio i miei mulini a vento, le mie lune nei pozzi, le incertezze, i sogni dei poeti e il cuore contento che sono le mie uniche ricchezze. Vorrei rimanga saldo nell’intento anche quando avrà dubbi ed amarezze, perché sia conscio che la complicanza della vita non è un fatto di panza.

A Ronzinante, compagno sincero, lascio la biada della fantasia, perché corra felice e vivo è vero oltre la melma dell’ipocrisia…” poi la parte migliore del suo testamento, abilmente interpretato e portato in scena dalla compagnia diretta da Marco Balsamo, “…ai costruttori in aria, a chi ha utopie, a chi malgrado tutto ancor resiste, lascio l’esempio delle gesta mie. E a chi sogna testardo e perciò insiste invece lego le mie fantasie, quelle più belle, quelle ancor mai viste, perché non si scoraggi e tiri dritto, malgrado il mondo l’avrà già sconfitto…dispongo che il mio cuore sia estirpato e che sia dato in pasto alle persone che non sanno capire com’è stato che un uomo diventò la sua illusione…”

Tutto ciò non è follia, ma consapevolezza del vivere la propria vita e i propri sogni senza nessun castigatore a fare la falsa morale, per mantenere un potere coercitivo sulle vite altrui. Vivere la vita con l’amore per la vita senza sconti e senza paura di perdere, perché quando si perde per lottare per i propri sogni, non ci si sente perdenti, ma eroi senza macchia e senza paura che affrontano, ognuno, i suoi mulini a vento. Questo è tanto altro abbiamo visto sul palco dell’Ambra Jovinelli.

di Claudio Caldarelli e Nicoletta Iommi

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