I dardi dell’atroce fortuna

Un calcio alla ricchezza. L’incapacità di vivere il capitale accumulato. La paura di affrontare il giorno fuori dalle mura domestiche. Il malato immaginario è lo specchio reale dei nostri tempi. I più fortunati soffrono le ipocondria e le idiosincrasie e ogni altro malessere trasformandole in patologie. La finzione del teatro supera ogni realtà costituita, nella messa in scena dei mali del nostro tempo.

Al teatro Quirino di Roma, torna “Il malato immaginario” di Moliere, con la regia magistrale e sapiente, di Guglielmo Ferro che ne cura anche l’adattamento nei minimi particolari. Sul palco, Emilio Solfrizzi che interpreta Argante in modo talmente reale da superare ogni battuta con la disinvoltura di colui che il dramma lo vive sulla sua pelle. Oltre il teatro. Oltre la finzione. Emilio Solfrizzi ci regala due ore e mezzo di ironica comicità, in grado di strappare applausi a scena aperta. Accanto a lui, una compagnia di elevata bravura, nessuno escluso. Così come i costumi, le scenografie e le musiche. Un meccanismo sincronizzato che attrae il pubblico facendolo sentire parte della ironica e surreale realtà rappresentata.

Una scaffalatura farmaceutica seicentesca a forma di torre costituisce la scena. Semplice, quasi essenziale, che esemplifica al pubblico, il profilo di don Argante: fuga dall’assunzione di responsabilità e la ricerca di un rifugio nella torre infinita delle malattie immaginarie.

La comunicazione con il pubblico si stabilisce sin dalle prime battute; siano esse complete oppure no, chiare oppure poco comprensibili, ma legate e chiarite da una mimica che certamente rappresenta uno dei punti di forza dello spettacolo.

Con leggerezza vengono portati all’attenzione temi reali come la sudditanza alla consuetudine, alla tradizione, il senso di inferiorità di fronte ai sapienti, ai dottori di una scienza alla quale in fondo neanche si crede, la sincerità dei sentimenti, la presunzione di onnipotenza, l’arrivismo, la forza del vero amore.

Ognuno dei protagonisti, che esprimono le varie problematiche, riesce a rendere il proprio lato comico con ottima integrazione rendendo fluida la recitazione. Gli applausi e le risate sono frequenti, discreti, quasi che si abbia paura di interrompere la coinvolgente recitazione, ma alla conclusione il tributo di applausi è veramente notevole.

Gli attori dimostrano una grande capacità di coinvolgimento tanto che ci si accorge con sorpresa che sono trascorse due ore e mezza. Un vero e proprio successo certificato dal lungo applauso finale tributato dal pubblico.

Un applauso che la paura del logorio della vita moderna, donando la speranza che l’amore può vincere anche sul l’avidità e riportare al centro dell’attenzione l’umanità così fragile ma anche così capace di riscattarsi affrontando “ i dardi dell’atroce fortuna”.

Corrado Venti – Claudio Caldarelli

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