“L’omofobia nasce dalla scarsa informazione”

Esordisce con questa frase Angela Infante, attivista della comunità LGBT ed operante al Policlinico di Tor Vergata, solo ed esclusivamente con persone affette da HIV.

Si parla di inclusione e di violenza, che non deve essere necessariamente fisica, ed abbiamo avuto l’immenso piacere di confrontarci.

La società odierna, meno rispetto al passato, ci porta ad essere naturalmente avversi alla malattia dell’HIV.

Come spiega Angela, definirla con il termine “malattia” è una cosa a dir poco aberrante. Semplicemente, siamo abituati a contrarre diverse tipologie di infezioni attraverso i rapporti sessuali, ma sono tutte infezioni curabili e GUARIBILI. Questo è ciò che più spaventa: dall’HIV non si guarisce, ci si convive.

L’AIDS (sigla di Acquired Immune Deficiency Syndrome) è stata per decenni una malattia incurabile e mortale, fino a quando, nel 1996, arrivò la terapia antiretrovirale. 

Negli ultimi anni la ricerca è progredita a tal punto che oggi una persona sieropositiva, se opportunamente trattata, può tenere sotto controllo la sua condizione e persino renderla non trasmissibile.

Spesso Angela si trova di fronte a pazienti, o come lei ama definire amici, che giustificano il loro essere “normali” derivante da una società intrisa di omofobia, maschilismo e soprattutto disinformazione. Una discriminazione culturale, sociale e linguistica che – nonostante il progresso e il passare degli anni – fa sentire ancora oggi gli omosessuali o i malati di AIDS diversi dagli altri. 

Una persona sieropositiva sente gravare su di sé un doppio pregiudizio che la porta spesso a nascondere la propria condizione, fino ad arrivare a percepirsi estranea alla società. Il primo è legato alla presunta incurabilità della malattia, per cui la persona sieropositiva teme di essere considerata dagli altri, dai suoi stessi amici, quasi un intoccabile. Aspettativa poco piacevole, ma che trova terreno fertile in una informazione sull’HIV spesso superficiale. Il secondo pregiudizio è quello nei confronti di una malattia classificata come ‘sessualmente trasmissibile’ e che negli anni Novanta veniva semplicisticamente associata alla popolazione omosessuale. 

Una persona eterosessuale avrà quindi paura di essere considerata omosessuale, in una società che ancora troppo spesso è discriminante verso la comunità LGBT. Questo tipo di timore è reale, assurdo ma reale. 

Tuttavia, il sentimento destabilizzante contro cui molte persone sieropositive lottano, e su cui si concentra parte del lavoro di Angela, è un’altro: il senso di colpa. Nessun malato di nessuna malattia si sente in colpa per la propria condizione. Molti sieropositivi, che tra l’altro non sono malati, si sentono in colpa. Sentono di essersela andata a cercare. Quasi di meritare questo castigo. 

Ciò è il risultato di un rapporto distorto tra sieropositivi e sieronegativi, delle reciproche aspettative degli uni sugli altri. Per questo l’HIV è qualcosa che coinvolge l’intera società.

Tornando alla frase sopra citata, tutto dipende dall’informazione.

La vergogna non dovrebbe essere sentimento dei sieropositivi, ma sentimento dell’Italia intera; un Paese che sa vivere solo nell’emergenza e si fa sempre trovare impreparato davanti alle tragedie umane e civili. 

Se nel 2022 abbiamo ancora ragazzi giovani che, indipendentemente dai loro gusti sessuali, si infettano, vuol dire che non si è fatto nulla per far arrivare davvero il messaggio che bisogna proteggersi.

Bisognerebbe organizzare campagne di informazione fin dalla scuola primaria in cui si spiega ai bambini che esistono per esempio le famiglie monogenitoriali, che ci sono donne che amano altre donne e uomini che amano uomini.

Invece, oggi i ragazzi arrivano alla scuola secondaria di primo grado completamente impreparati su questi temi e diventano vittime delle discriminazioni e dell’ignoranza.

“Seguo i pazienti nell’elaborazione di questa nuova condizione, caratterizzata purtroppo da un grande bagaglio di significati psicosociali, che una persona sieropositiva si ritrova d’improvviso addosso e che deve, quindi, imparare a gestire. Le persone sieropositive a Roma sono molte, questo vuol dire che ci sono sia giovanissimi, ragazzi nella prima età adulta, che padri e madri di famiglia e persone che adesso entrano nella terza età. Lo spettro e la tipologia sono molto ampi, nonostante i luoghi comuni. Ognuno è unico e diverso dagli altri, quindi ciascuno ha reazioni e approcci differenti.

Il mio lavoro è delineare un percorso comune e uno parallelo individuale, sostenere le persone in ogni tappa di questo cammino aiutandole a identificare ogni difficoltà, a cui va data una giusta dimensione e una possibile soluzione. Un passo alla volta.

La difficoltà principale è riuscire ad affrontare tutto insieme il peso della condizione di sieropositività, perché è ancora troppo sfaccettata e troppo legata ad elementi esterni, alla società.”

Questa è la missione di Angela e non solo. 

Oltre alla sua attività in ospedale, l’altro grande impegno di Angela è il “Gay Center” con sede a Testaccio, di cui è presidente.

Bisogna andare oltre il tabù e capire realmente che cosa l’HIV rappresenti oggi. Questo arricchirebbe tutti: uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali, sieropositivi e sieronegativi. 

Siamo tutti sierocoinvolti. 

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