NON PIOVE, GOVERNO LADRO!

È pur vero che la siccità non è colpa dell’attuale governo e, d’altronde, non credo che qualcuno lo pensasse. Ma questo, come qualunque altro governo, ha la responsabilità di farsi carico del problema, che è grave, e di alleviarlo per quanto possibile.

Anche la crisi climatica non è colpa del governo attuale, e con questo? Vogliamo continuare? Anche l’immigrazione clandestina, la mafia, i bassi salari, il debito pubblico, le liste d’attesa in ospedale, le polveri sottili, la plastica nel mare… e chi più ne ha più ne metta, non sono colpa del governo in carica, ma questo nulla toglie alla sua responsabilità di affrontare tali problemi: è inutile dare la colpa a quelli di prima, se no a che servirebbe un governo nuovo?

E non bastano le battute ad effetto per affrontare una crisi vitale nel senso più stretto del termine, perché della nostra vita si tratta, quando si parla di siccità e cambiamento climatico.

Senza volerlo, la presidentessa del consiglio ha però sollevato il problema dei problemi: ma perché l’attuale crisi climatica, pur avendo radici ormai lontane, non è ancora stata adeguatamente affrontata, nel nostro come negli altri Paesi? E perché, per dirla con le parole di Guterres, si continua a bruciare il pianeta?

Eppure gli effetti climatici del consumo delle fonti fossili di energia sono ufficialmente noti dagli anni settanta, se non da molto tempo prima.

Paradossalmente, prime a rendersene conto furono proprio le “major” del petrolio, che studiavano l’impatto dei loro prodotti sull’ambiente, salvo poi nascondere al pubblico i preoccupanti risultati di quegli studi ed imbarcarsi in una capillare campagna di disinformazione. Alcuni miei amici, persone di buona cultura e normale intelligenza, erano fermamente convinti, fino a poco tempo fa, che l’allarme sul riscaldamento globale fosse eccessivo e che, comunque, si trattasse di un fenomeno naturale (“come le glaciazioni”, era l’esempio più usuale). In fondo, era ciò che leggevano sul loro giornale e sentivano dalla rete televisiva preferita. Diversi pseudo esperti, infatti, lo sostenevano, appositamente manovrati dalle suddette “major”. Non lo dico io, lo ha pubblicamente affermato – scusate se mi ripeto – il Segretario Generale dell’ONU. E non ha avuto smentita alcuna.

In effetti, che la CO2 atmosferica sia aumentata, che ciò sia causato dall’attività umana e che ne derivi un aumento globale della temperatura per effetto serra, sono fatti già noti alla scienza da molto tempo. Nessuno scienziato potrebbe in buona fede sostenere il contrario; ma alcuni “esperti”, chissà perché, insinuavano dubbi più o meno capziosi, tipo “non c’è una controprova” o “non è stato ancora dimostrato”. Così i governi hanno continuato a star fermi, nell’indifferenza dell’opinione pubblica, consentendo l’uso e l’abuso di quel combustibile fossile che sta “bruciando il pianeta”.

Il problema ha assunto ufficialmente una dimensione geopolitica nel 1997 con il protocollo di Kyoto, che si poneva l’obiettivo di fermare la pericolosa tendenza al riscaldamento globale senza, ahimè, riuscirci.

Nel 2006 l’ex vicepresidente americano Al Gore ha ispirato il film “Una scomoda verità”, che ha avuto una grande diffusione, anche sulla spinta del premio Oscar vinto come miglior documentario. Salvo qualche critica sulla precisione delle previsioni future, la comunità scientifica nel suo complesso ha confermato la validità delle tesi sostenute, cioè il progressivo riscaldamento del pianeta e le catastrofiche conseguenze ambientali in un futuro molto prossimo. Una sparuta minoranza di scienziati (un paio, all’incirca) mise in dubbio le conclusioni di Gore. In particolare il professor Lindzen del MIT; peccato che collaborasse con istituti finanziati da industrie petrolifere.

Nel 2015 Papa Francesco fu invitato a parlare all’assemblea generale dell’ONU. Fece un accorato appello al mondo politico e all’umanità in generale per la salvezza del pianeta. Definì la questione climatica come la più grande ingiustizia della storia, perché l’ormai consapevole distruzione dell’ambiente a livello planetario sta condannando l’intera umanità a subire le nefaste conseguenze dell’arricchimento di pochi.

Ho già parlato dell’intervento di Guterres al Forum di Davos 2023, che non solo sottolineava l’urgenza della lotta alla crisi climatica, ma attribuiva una precisa responsabilità a pochissimi gruppi economici, che non solo l’hanno provocata, ma hanno cercato e cercano di impedire l’unico rimedio serio: cessare l’uso dei combustibili fossili. Da noi questo nobile compito è stato assunto dall’ENI, con l’entusiastico appoggio del governo italiano.

Recentemente il Presidente Mattarella, parlando da Nairobi, ha sottolineato l’urgenza di contrastare la crisi climatica, adoperando un’espressione molto incisiva: “non avremo un secondo tempo”. Tra l’altro, ha ricordato che la prima previsione su basi scientifiche dell’attuale global warming è rintracciabile in una pubblicazione del 1912, tanto per dire quanto sono informati gli scettici.

Questa piccola carrellata di notizie sulla crisi climatica e sull’assoluta urgenza di efficaci interventi solo per ribadire, qualora ve ne fosse bisogno, che non si può più far finta di niente o avere atteggiamenti dilatori, men che meno per motivi protezionistici o economici; questi sono solo fumo negli occhi, perché non ci saranno più né industria né economia, se non si ferma il consumo delle fonti energetiche fossili. E, soprattutto, per ricordare che non lo dice solo Greta Thunberg o qualche “gretino”, ma diverse autorevoli personalità.

Non c’è motivazione che tenga, rispetto all’urgenza di mettere in campo azioni efficaci.

Invece assistiamo a scelte politiche assurde, come aprire nuovi giacimenti di metano al largo della Libia (e buttare miliardi di euro nell’operazione), o voler rimandare (senza neanche dire fino a quando, come se il tempo non contasse) la messa al bando dei motori a scoppio o l’efficientamento energetico delle case.

Oltre tutto, il governo italiano non è il solo a remare contro il nostro diritto di avere un futuro. Ho già ricordato in un precedente articolo che le guerre in corso – in Ucraina e non solo – peggiorano le condizioni ambientali a livello planetario moltiplicando l’emissione di gas serra e inquinanti, e rendono oggettivamente meno efficaci i tentativi di transizione ecologica. Ogni giorno di guerra causa un aumento della produzione di CO2 e sposta in avanti il traguardo che avremmo dovuto raggiungere già ieri.

Lo stesso avviene, pur se in scala minore, ogni volta che si fanno esercitazioni militari su ampia scala o si lanciano missili a scopo dimostrativo (cfr. Guerra e pace, Stampacritica, 15 ottobre 2022).

In questi giorni è stato raggiunto un accordo tra UE e Germania che consente i motori a scoppio anche dopo il 2035, purché alimentati da carburante sintetico (il cosiddetto e-fuel). La proposta italiana di una deroga anche per i biocarburanti non è stata, invece, presa in considerazione.

Ma di che si tratta? e perché questa differenza tra i due tipi di carburante?

L’e-fuel è un carburante sintetico, ottenuto con un processo che utilizza la CO2 atmosferica e i gas derivanti dall’idrolisi dell’acqua. Tale processo richiede – ovviamente – energia. Se tale energia è ottenuta da fonti rinnovabili (ma solo in questo caso) ecco che il combustibile sarà (teoricamente) ad impatto zero: tanta CO2 sottraggo all’atmosfera per fabbricare la “benzina”, altrettanta ne produrrà il motore a scoppio utilizzandola. In sintesi, si trasforma l’energia elettrica rinnovabile in una sostanza chimica combustibile, fatte salve le perdite dovute al rendimento dei processi industriali.

Bene! sembra l’uovo di Colombo. Se non che, anche questa soluzione ha i suoi problemi.

Il primo è che attualmente 1 litro di e-fuel costa 20 €, al netto delle tasse.

Il secondo è che l’e-fuel potrebbe soddisfare circa lo 0,40% del fabbisogno nel 2030 e il 3% nel 2035, difficilmente di più. Sono calcoli forniti dalla stessa industria dei combustibili.

Per finire, Transport & Environment, l’ente europeo indipendente che studia il rapporto tra mobilità e ambiente, è giunto alla seguente conclusione: un’auto ibrida (attualmente la meno inquinante tra le auto a motore endotermico) alimentata ad e-fuel, nel suo intero ciclo di vita diminuisce le emissioni di CO2 soltanto del 5% rispetto ad un’auto analoga alimentata a benzina. Davvero un ottimo risultato, per un carburante da 20 euro al litro!

Se l’energia elettrica da fonti rinnovabili fosse utilizzata direttamente su auto elettriche – senza il passaggio del combustibile sintetico e senza motore endotermico – si otterrebbe una riduzione di emissioni maggiore e a minor prezzo.

Aggiungo che il maggior investitore europeo sull’e-fuel è la Porsche, che sta già battendo alle casse dell’UE per ottenere incentivi e finanziamenti, per superare i problemi del prezzo e della scarsità dello stesso. Molto interessante!

Peggio della posizione tedesca è solo quella italiana, in favore dei biocarburanti, che sono ricavati da prodotti agricoli. Anche in questo caso c’è l’illusione delle zero emissioni, visto che la pianta per crescere sottrae all’atmosfera CO2, che poi restituisce bruciando sotto forma di biocarburante. Ma la richiesta di energia dell’automotive è tale che sarebbero necessarie colture estese ed intensive per soddisfare il fabbisogno di biocarburanti. Davvero l’ideale in tempi di siccità e di crisi mondiale dell’agricoltura. Se fosse passata la proposta italiana, non avrei voluto essere nei panni del ministro della “sovranità agricola”: se si utilizzano i terreni fertili per la produzione di biocarburante, ci toccherà mangiare insetti e cibo sintetico!

Ma questo nostro discorso cominciava con una domanda: perché mai la crisi climatica non è già stata adeguatamente affrontata finora, e perché si continua a bruciare il pianeta?

Forse la risposta comincia ad essere chiara: perché abbiamo i governi che abbiamo.

 

Cesare Pirozzi

 

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