Il 25 aprile e la strana memoria della politica

Mai come quest’anno la ricorrenza del 25 aprile è stata al centro dell’attenzione della politica, pur tra mille polemiche. In particolare si è giustamente plaudito alla partecipazione della presidentessa del Consiglio alla celebrazione all’Altare della Patria con il presidente Mattarella, e si è criticato l’atteggiamento un po’ ambiguo del presidente del Senato La Russa. Ma mi sono affiorati alla memoria altri ricordi, non molto lontani, che vorrei con voi rievocare e che sono stati apparentemente obliati dalla stragrande maggioranza dei mass media.

Per esempio, su come davvero la pensi Berlusconi su questa ricorrenza, al netto delle recenti esternazioni.

Nel 2002, al suo primo 25 aprile da presidente del Consiglio, Berlusconi decise di non partecipare alle cerimonie ufficiali; si trasferì alla sua residenza di Porto Rotondo, da dove inviò un comunicato ufficiale per sostenere che «ricordare e onorare oggi la figura di Edgardo Sogno deve essere l’occasione per sancire una definitiva riconciliazione nazionale, all’insegna dei valori condivisi della libertà, della democrazia e della Patria». Se, in effetti, Edgardo Sogno riuniva in sé orientamenti fascisti (aveva combattuto in Spagna a fianco dei franchisti) e antifascisti (fu partigiano badogliano), fu poi indagato per un tentato golpe negli anni settanta e fu membro della loggia P2. Non certo il personaggio più adeguato a celebrare i valori della Festa della Liberazione.

Comunque, fino al 2009, l’ex Cavaliere si rifiutò di partecipare ai festeggiamenti ufficiali per quella ricorrenza. Ha dimostrato, con le parole e con i fatti, di considerare la festa della liberazione un fatto di parte, usato dalla sinistra a scopi di propaganda politica, “dimenticando” che la festa fu istituita da un democristiano, Alcide De Gasperi. Nel 2007 chiarì in modo inequivoco il suo pensiero: secondo lui il 25 aprile «non veniva considerata la festa della Liberazione ma la festa di una parte contro l’altra»; il suo grazie andò agli Stati Uniti, «che con il sacrificio di tanti giovani ci hanno liberato dal nazi-fascismo». Ma perché, il sacrificio di tanti antifascisti italiani non conta? Per non parlare delle donne, vecchi e bambini vittime degli eccidi nazifascisti.

Tornato al governo nel 2009, si recò ad Onna il 25 aprile. Il suo discorso, nell’occasione, fu un po’ diverso, ma non troppo: “Sono maturi i tempi perché la festa della Liberazione possa diventare la festa della libertà e possa togliere a questa ricorrenza il carattere di contrapposizione che la cultura rivoluzionaria (?) aveva dato e che ancora divide piuttosto che unire. Lo dico con grande serenità senza alcuna intenzione politica”. E aggiunse: “la Resistenza è con il Risorgimento uno dei valori fondanti della nostra nazione, un ritorno alla tradizione di libertà”.

Infine, il 24 aprile di quest’anno, Berlusconi si accorge dello “spirito di unità nazionale” che animò tutti i protagonisti della resistenza che seppero accantonare le differenze più profonde, politiche, religiose, sociali, per combattere insieme una battaglia di civiltà e di libertà per sé stessi e per i loro figli”.

Quindi la resistenza non è più considerata inutile, di parte, di sinistra.

È uno strano percorso, il suo, fatto di piroette e dimenticanze. Resta la domanda: era sincero prima o è sincero adesso?

Comunque, la Festa della Liberazione può essere, sì, considerata divisiva, ma solo nei confronti dei fascisti, perché nella resistenza erano rappresentati tutti gli altri orientamenti politici. Quindi, perché sentirla come “la festa di una parte”, se non si è fascisti?

Un po’ simile è l’atteggiamento di La Russa. Lui è andato a rendere omaggio a un giovane eroe, Jan Palach, che si diede fuoco nel gennaio 1969, in segno di estrema, drammatica protesta contro l’invasione sovietica che represse la primavera di Praga. Il nostro sempre (e forse stupidamente) polemico presidente del Senato ha fatto come uno che si metta a festeggiare San Gennaro il giorno di Sant’Antonio. E siccome La Russa poi tanto stupido non è, forse voleva dire che poco gli importa della Liberazione dell’Italia, dei morti italiani per la resistenza al fascismo: preferisce ricordare i morti non italiani per la resistenza al comunismo. Ma lui non rappresenta le Istituzioni italiane? e il 25 aprile si festeggia San Gennaro o Sant’Antonio?

A me sembra chiaro che il messaggio sia indirizzato ad una certa categoria di suoi elettori, e lo espliciterei così: tranquilli, camerati, non sono diventato antifascista, anche se mi è toccato accompagnare Mattarella.

Anche Salvini ha più volte espresso lontananza dalla ricorrenza del 25 aprile. Da ministro dell’Interno, nel 2019, si è recato a Corleone dribblando le celebrazioni ufficiali, per la ridicola ragione che preferiva “liberare la Sicilia dalla mafia”. D’altronde aveva affermato che la Festa “si è tinta un po’ troppo di rosso” e invece dovrebbe tornare a essere la “festa di tutti” e non un “derby tra fascisti e comunisti”, sempre ignorando che si tratta di una festa nazionale, non di partito, istituita da un democristiano di orientamento piuttosto conservatore, e che la resistenza coinvolse tutti i partiti ad eccezione di quello fascista.

Anche la presidentessa Meloni ha sempre manifestato un’opinione ambigua come quella di Berlusconi. In passato (nel 2018) ha dichiarato che quella della Liberazione

“è una festa divisiva che non rappresenta tutti gli italiani”. Ma, ripeto, è divisiva solo ed esclusivamente nei confronti dei fascisti e dei nazisti, da cui fumo in quella data simbolicamente liberati. Aggiungeva in seguito: “per noi è il 17 marzo festa dell’unità nazionale… se non festeggiamo unità d’Italia, per noi è meglio festeggiare quando ci siamo ammazzati tra di noi che quando ci siamo unificati”. Ma tra di noi chi? Ancora una volta, freudianamente, la Meloni sembra identificarsi con una delle due parti, perché “ci siamo ammazzati” solo tra fascisti e antifascisti, non tra comunisti e conservatori.

Allora, la sua affermazione (nella lettera al Corriere) che «da molti anni… e come ogni osservatore onesto riconosce, i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo» non mi sembra poi tanto vera. Le dichiarazioni politiche sue e di altri esponenti del suo e di altri partiti della destra italiana mostrano – involontariamente? inconsapevolmente? – una certa identificazione con il regime fascista, ancorché priva di nostalgia.

Quest’anno gli stessi personaggi hanno espresso valutazioni diverse sulla ricorrenza. A quanto pare, non la considerano più divisiva e filocomunista: è diventata la “festa della libertà”, pur con qualche ipocrita ma significativo distinguo.

Mi ha fatto, per esempio, una certa impressione vedere l’onorevole Rauti alle Fosse Ardeatine. E mi sono chiesto se sia giusto essere soddisfatti da questo cambiamento della destra italiana, o se il cambiamento sia solo apparente, dettato dall’opportunità politica, perché anche Roma, come Parigi, val bene una messa.

In fondo, se Berlusconi poteva permettersi di snobbare il 25 aprile, era anche perché non aveva alcuna scomoda eredità da mettere in ombra. Al contrario, sia Alleanza Nazionale che Fratelli d’Italia sono discendenti dal partito fondato dai reduci della Repubblica di Salò, il cui tradizionale logo (la “fiamma tricolore”) è ancora presente nei loro simboli. E, a dire il vero, la Festa della Liberazione è sempre stata divisiva solo ed esclusivamente nei confronti di questi ultimi. Non avendo tolto la fiamma, devono accreditarsi come destra democratica in altro modo, in considerazione del nuovo ruolo istituzionale e dell’ambito internazionale.

Ma forse ha anche pesato l’atteggiamento piuttosto deciso del Presidente Mattarella, che ha chiarito il senso politico di questa festa, ricordando che La Repubblica italiana è “fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista”, con buona pace di La Russa. Facendolo dalla città di Cuneo, “la terra delle 34 Medaglie d’oro al valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d’argento, delle 228 medaglie di bronzo per la Resistenza. La terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste”, dove “la Repubblica celebra oggi le sue radici, celebra la Festa della Liberazione”. E riportando la frase che campeggia sulla lapide “ad ignominia” eretta nel municipio a ricordo dell’oppressione delle forze di occupazione tedesca: “Ora e sempre Resistenza!”

Cesare Pirozzi

 

 

 

 

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