El Topo – Alejandro Jodorowsky

Camillieri

Il senso della vita, spiegato da un cristo in chiave western. Un tripudio di metafore e citazioni, a sua volta citato nel cinema a venire.

Difficile giudicare un prodotto simile. Ammetto di averlo seguito con difficoltà, almeno inizialmente, a causa di un ritmo abbastanza basso e di un senso non pienamente chiaro ma la potenza e suggestione delle immagini, alla fine, ha avuto il sopravvento. El Topo è un personaggio quasi ipnotico, la sua figura richiama le gesta di un Gesù in chiave western ma lo fa, sempre, ampliando le citazioni ed i rimandi ad un livello più alto, costringendo lo spettatore ad interrogarsi sulla natura umana, o divina, del protagonista in una chiave che non sia solo biblica ma si estenda a tutta l’etica e la spiritualità. El Topo cammina con un bambino nudo al seguito, incarna inizialmente i panni di un giustiziere ma scioglie presto il legame col bimbo, lasciandolo ad una comunità di frati e urlandogli di non legarsi mai a nessuno, perché il legame è debolezza. Dopo varie prove, richiamanti i capitoli della Bibbia, lo stesso El Topo mostrerà di aver appreso le lezioni dei maestri con cui si scontra a duello e che uccide. Capirà l’amore per il prossimo attraverso una comunità di freak che lo salva e accoglie all’interno della montagna in cui è imprigionata ma, dopo l’incontro con gli abitanti di una città dedita alla violenza ed al vizio e, soprattutto, intrisa di valori razzisti, mostrerà di aver compreso anche la lezione dell’ultimo maestro. La montagna dei freak dove ha trovato se stesso e la donna che ama, verrà da lui aperta come un vaso di Pandora e l’uomo all’esterno non esiterà nel distruggere le verità che essa contiene. Così, proprio quando El Topo si renderà conto di essere immune alle pallottole, capirà anche che la vita per lui non ha peso ed il privarsene può assumere un valore più profondo che il preservarla.

La donna come tentazione, i quattro maestri di pistola come apostoli, El Topo che incarna un cristo fuori dalle regole ed il sangue che scorre copioso come inchiostro sulle sacre scritture, il tutto sceneggiato dal poliedrico Jodorowsky che cura anche la colonna sonora e la regia, che interpreta i panni del protagonista e porta con sé suo figlio, riportando la metafora fuori dallo schermo, lasciando intendere che le riflessioni sulla vita, sulla morte e sul senso della religione diventino quelle di un uomo che è, al contempo, se stesso ed il suo pubblico.
Impossibile giudicare un prodotto simile, vero, eppure si è di fronte a qualcosa di incontestabilmente grandioso.

 di Marco Camilleri

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