Le quote rosa, il male minore
Alle ultime elezioni amministrative su 3600 candidati aspiranti sindaci, soltanto 600 erano donne. Pochissime, un numero adatto ad esprimere uno piccolo squarcio di cielo e non una intera metà, quell’ “altra metà del cielo” che invece le donne rappresentano. Due di loro, Virginia Raggi e Chiara Appendino, sono addirittura riuscite a conquistare città importanti, Roma e Torino, in linea con un’Europa che comincia a sporcarsi di rosa nella governance dei grandi centri urbani: sono donne Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, Manuela Carmena, sindaca di Madrid, Ada Colau, sindaca di Barcellona, Henriette Reker, sindaca di Colonia, e ancora Hanna Beata Gronkiewicz-Waltz, sindaca di Varsavia e Karin Wanngard, sindaca di Stoccolma.
Se l’idea di un governo senza donne in Europa é ormai impresentabile, e anacronistica, in Italia la partecipazione femminile alla vita pubblica amministrativa é ancora un’eccezione e l’unico modo per riequilibrare i numeri e garantire una sostanziale equità di genere sembra essere l’applicazione delle leggi che impongono le quote rosa. Purtroppo l’Italia non é un paese per donne. Sono poche quelle che lavorano (il 47%, 13 punti sotto la media europea), ancora meno quelle che vantano un posto ai vertici delle imprese. Negli anni le scelte bipartisan di politica economica hanno tagliato là dove invece avrebbero dovuto spendere: per migliorare l’assistenza, la ricerca, la scuola, le politiche di sostegno alle famiglie. Il mondo così é andato avanti annodandosi la cravatta, senza portarsi le donne con sé: le ha lasciate indietro vestite dell’eterno grembiule da lavoro di madri e di mogli. Amanti, anche, ma se amanti… femmine da nascondere. Le italiane curano tutto e tutti: i bambini, gli anziani, le case e pur essendo il più efficiente ammortizzatore sociale del paese, agiscono ancora da comprimarie negli avvenimenti che mutano la storia; quasi mai contribuiscono a determinare il corso della politica, dell’economia, del costume, della vita quotidiana. Per qualcuna di loro che oggi comincia a splendere sotto le luci della ribalta, ce n’è una che muore per mano del compagno; nel teatro delle responsabilità, nel cast del comando, di donne ancora se ne vedono poche: troppo timide, troppo fiduciose, troppo obbedienti, o vinte da un gioco di ruolo, se non addirittura conniventi, cadute nell’equivoco dell’uguaglianza dei sessi, dimentiche della loro naturale differenza e della loro esperienza, nella millenaria sapienza dei cicli della vita.
Ha detto Alessandra Bocchetti, storica figura del femminismo italiano, che “La libertà della donna é venuta al mondo quando una donna si è potuta fare la domanda: ma chi é che ha fatto le parti?” Libertà giovanissima: “chi ha fatto le parti?” é una domanda che la donna si é potuta porre solo di recente, basti pensare che fino al 1963 il ruolo di magistrato era un’ esclusiva maschile, così come quello di prefetto e di diplomatico. E’ difficile pensare che in poco più 50 anni il mondo femminile abbia potuto crescere sapendo di potersi eventualmente scegliere la parte giusta, e quindi acquisire tutte le competenze indispensabili per accedere alle stanze maschie da tempo immemorabile.
Secondo la legge n.56/2014 Delrio, nelle Giunte dei Comuni con una popolazione superiore ai 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in maniera inferiore al 40%.
Oggi sono più di 1000 i Comuni italiani non in regola con questa legge per palese inferiorità numerica femminile.
I vincoli delle quote rosa sono sbrigativi, numerici, freddi e spartitori, (le donne dovrebbero avere garantiti sia il tempo che gli strumenti per competere senza aiuto), ma sono il male minore, per ora.
La legge Delrio non difende una specie in via di estinzione, ma nell’imporre un equilibrio ha una sua precisa finalità pedagogica: dati i vincoli ineludibili, alle prossime elezioni amministrative ci dovranno essere più donne candidate, e sarà giocoforza indispensabile prepararle – più che alla difesa di un diritto- all’esercizio di un dovere, il dovere di esserci: capaci, propositive, costruttive.
“Tutto cangia, il ciel s’abbella“. Ragazze di ogni età avranno l’obbligo di presentarsi alla politica e dovranno portare con sè qualcosa di nuovo e di valido da offrire: la loro sapienza, la loro straordinaria differenza e la loro esigente identità.
di Daniela Barroccini