Migrazione e schiavitù
Gli schiavi della modernità
Gli schiavi della modernità: così sono definiti. In Italia, i raccoglitori di pomodori. Criminalità organizzata e disagio. Un mix di sfruttamento e pessime condizioni di vita.
Ogni anno i lavoratori stagionali si riversano nell’Italia meridionale. I loro stipendi e condizioni di vita sono stati indicati come un vero e proprio sfruttamento. Dopo aver attraversato mezza Africa ed essere sopravvissuti a una pericolosa traversata dalla Libia in cerca di una vita migliore in Italia, il loro unico pensiero, date le condizioni, è il suicidio. Vivono in luride baracche di cartone in costante attesa di essere chiamati per andare nei campi.
Ogni anno, migliaia di immigrati, molti dall’Africa, si riversano nei campi e nei frutteti del Sud Italia per racimolare qualche soldo come lavoratori stagionali, raccogliendo uva, olive, pomodori e arance. Arrivano in Italia nella speranza di condizioni di vita migliori, ma ciò che li aspetta è davvero sconcertante. Ore interminabili di un lavoro faticoso e vengono pagati appena 15-20 euro al giorno per poi tornare a casa in squallidi campi di fortuna senza acqua corrente né elettricità. Nel quadrato dell’“oro rosso”, tra Foggia, Taranto, Lecce e Brindisi, ogni estate, tra luglio e settembre, migliaia di stranieri arrivano da tutta Italia per raccogliere i pomodori destinati per lo più alle aziende campane, che li trasformano a loro volta nella polpa, pelati e passate che troviamo al supermercato. Molti hanno i documenti in regola per stare in Italia, tanti altri no. Vivono nei cosiddetti ghetti, baraccopoli senza acqua e in condizioni igienico sanitarie terribili, dove i caporali li vanno a prelevare. Ce ne sono tanti di ghetti in Puglia. Il più noto è quello di Rignano Garganico, in provincia di Foggia, da dove trasmette anche una radio “Radio Ghetto” che racconta le voci dei circa 1.500 braccianti che d’estate vivono nei container. Ma ci sono anche il “ghetto del Ghana” e quello “dei bulgari”, divisi per nazionalità di provenienza. “E’ meglio morire che vivere così” sostengono i lavoratori. Molte sono le persone che ci rimettono la pelle in quei campi. Molti casi di coloro che vengono colpiti da infarti a causa del sole forte. Terre produttive ma allo stesso tempo terre della morte.
di Immacolata D’Angelo