Il Ghetto di Rignano: la città invisibile

GiusyRignano Garganico è un piccolo comune del foggiano non molto distante da San Giovanni Rotondo. Uno di quei piccoli paesi dell’entroterra del sud di cui non si parla, che nemmeno si notano sulle mappe. Eppure, l’invisibile Rignano conosce una realtà altrettanto invisibile agli occhi dell’Italia intera, ma ben presente a chi quella realtà la subisce. La Puglia è da sempre scena di una realtà inimmaginabile per chi non la vive: il caporalato e lo sfruttamento dei migranti che, soprattutto in questo periodo dell’anno e in questi anni di estrema difficoltà sociale per chi cerca fortuna nei paesi occidentali, si trovano a lavorare nei campi del sud Italia in condizioni inumane e con paghe quasi inesistenti.
La particolarità di Rignano è l’esistenza di un vero e proprio “ghetto”: sparse nella campagna attorno al paese, un gruppo di vecchie masserie e costruzioni in lamiera e cartone ospitano gli “schiavi invisibili” che nel contesto di illegalità e sfruttamento tipico del caporalato, che tanto si conosce ma di cui troppo poco si parla ai “piani alti”, lavorano per poche manciate di euro al giorno. Le condizioni dei braccianti sono quelle, inaccettabili, che accomunano i migranti in Puglia come in molte altre zone del Sud. Quello di Rignano però è il più grande accampamento di migranti e lavoratori stagionali d’Italia. Qui caporalato e mafia continuano ad essere più forti del sindacato, che non riesce a convincere i braccianti dei loro diritti né a far sentire la propria voce alla Regione; qui lo Stato rimane lontano ad osservare: un piano della Regione Puglia volto a chiudere il Ghetto non ha trovato finanziamenti da parte del Ministero dell’Interno. Continuano quindi ad arrivare decine di migranti, che si offrono per la raccolta dei pomodori che non richiede, a differenza dell’uva o delle olive, lavoratori specializzati, accettando una paga media di 3,50 euro a cassone. Tenendo però conto che quaranta euro è il prezzo che ogni persona paga, a stagione, per dormire in una baracca senza acqua calda ed elettricità. Le liste di prenotazione per quello che non è definibile lavoro sono fitte di nomi, ogni anno. Alla promessa di un lavoro con regolare contratto, il migrante trova ad attenderlo soltanto il caporale.
A questa filiera dell’illegalità ignorata dai più, solo talvolta i braccianti riescono a ribellarsi. Di qualche giorno fa, una protesta dei migranti del Ghetto di Rignano e del centro migranti del Cara hanno manifestato per circa sei ore davanti la sede della Princes di Foggia, che lavora e trasforma il pomodoro, impedendo l’ingresso in fabbrica di decine di tir. Timidi tentativi di far valere mille voci che purtroppo hanno la forza di una. Troppo poco convincenti invece, i tentativi di chi, solo ogni tanto e solo in alcuni periodi dell’anno, decide di interessarsi alla questione.

di Giusy Patera

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