Un caso di coscienza

LucaLa dea della vergogna, Aidòs, secondo la mitologia greca fu l’ultima ad abbandonare la terra alla fine dell’Età dell’Oro e, da allora, si accompagna con la dea della vendetta, Némesis.

Sentimento ‘ultimo’ e radicale – inestirpabile – la vergogna non ci abbandona che alla fine, dopo la vendetta. A qualcuno, però, è concesso il dono di provare vergogna per la vendetta.

E’ il caso di Tiziana Cantone la cui vendetta d’amore – nel tentativo di far soffrire il suo ex – ha scandito i passi di una condanna implacabile che l’ha portata a togliersi la vita. La vergogna per il video hard, postato in rete da un idiota, si era fatta per lei insopportabile e, a 31 anni – braccata da un’identità virtuale e virale – Tiziana si è impiccata con un foulard.

La sua vicenda, oltre alla compassione per la sua vita spezzata, deve produrre almeno qualche riflessione.  A cominciare dal  fatto che, per quanto drammatica, la fine di Tiziana dimostra che nell’era della gogna mediatica, del dossieraggio, della macchina del fango, si può ancora morire di vergogna.

La notizia sta nel fatto che qualcuno possa ancora provare una vergogna che non lasci scampo. E la circostanza risulta tanto più sorprendente quanto insolita in un paese che ci ha abituati a vedere la peggior razza di criminali, di corruttori e di puttanieri rialzarsi dalla polvere – cui sono finiti perché colti sul fatto – e, con una scrollatina d’abiti, riprendere imperterriti posizioni di spicco sociali e professionali.

In un’Italia di festini e ricatti, di furbetti e raggiri che alla luce delle telecamere o nel microfono dei telefonini ha mostrato senza alcun pudore sconcezze inimmaginabili, viene da chiedersi perché Tiziana si sia tolta la vita. Forse, non si era accorta di vivere in un paese in larga misura in mano a nani e ballerine, a criminali cecati e a mafiosi dai colletti bianchi? Forse, il suo video hard le pareva più sconcio e grave, del pizzardone Alberto Muraglia che in mutande timbra il cartellino al Comune di Sanremo, o dell’ex Capo di Gabinetto Luca Odevaine che conta le mazzette di Buzzi e Carminati? O delle telefonate delle olgettine all’ex-premier Silvio Berlusconi? Chi più ne ha più ne metta.

La condanna dei social e della rete, per la morte della povera Tiziana Cantone è solo l’ennesimo atto di ignoranza e di ritardo della pubblica opinione, sostenuta da larga parte dell’informazione.

La tesi che il rischio sia di finire nel tritacarne di una ‘rete’ feroce, priva di qualsiasi ‘coscienza’ è solo il tentativo di rovesciare l’ordine delle cose. La coscienza non può averla Internet o il Paese, né il rione o il quartiere. Non è delle periferie – la coscienza – né dei palazzoni anonimi di tanti tristi condomini. La coscienza è dell’uomo. Se ne gira poca è solo perché sono pochi gli uomini cui è rimasta una coscienza.

Tiziana non c’è più perché in coscienza provava vergogna. Nel suo nome lasciamoci abitare da una domanda: – Perché la vergogna non consuma i molti che – ben più di Tiziana – dovrebbero provarla?

di Luca De Risi

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