Monuments Men moderni

Recuperati due dipinti di Van Gogh di inestimabile valore, sottratti da una committenza camorristica in un furto del dicembre 2002.

La procura di Napoli, nella persona di Giovanni Colangelo, insieme alla polizia tributaria della Guardia di Finanza, guidata dal colonnello Giovanni Salerno, e la Squadra Mobile, di Fausto Lampelli, hanno portato a termine con successo un’indagine avviatasi anni prima.

I quadri erano stati sottratti in un furto del 7 dicembre 2002, ai danni del simbolo che si erge nella città di Amsterdam in onore del pittore Vincent Van Gogh: dalla capitale olandese le opere hanno viaggiato fino a Castellammare di Stabbia dove hanno trovato riparo in un anonimo locale della costa.

Nascondere oggetti di valore incomparabile in luoghi squallidi, insospettabili, dal sapore di retrobottega risponde ad un unico modus operandi: quello camorristico.

La camorra non è più quella di una volta però, oggi non si sporca le mani: se un tempo i mecenati prendevano sotto la loro ala protettrice artisti incompresi, oggi commissionano a ladri specializzati il furto di opere da milioni di dollari. Si noti che in questi quattordici anni gli esecutori materiali dell’estorsione sono stati condannati nel paese colpito, l’Olanda.

La rapina è da ricollegare al ras del narcotraffico internazionale Raffaele Imperiale: già da anni si stava investendo in un’indagine che non si arresta al boss Imperiale, ma coinvolge anche “i soci”, Mario Cerrone e Gaetano Schettino. Fanno tutti capo ad un clan degli Scissionisti di Scampia, per cui rivestono il ruolo di broker internazionali che hanno il compito di piazzare la droga sui mercati del sud Italia.

Questa vicenda contribuisce ad ampliare gli orizzonti geografici del fenomeno camorristico: chi ancora crede che la camorra sia radicata nelle sole Scampia e Secondigliano sta rifiutando una realtà che colloca milioni di cellule in tutto il mondo.

Lo stesso “Lelluccio ‘o parente”, nome d’arte del boss Imperiale, è latitante in quel di Dubai e da lì gestisce comodamente, nonostante un processo per camorra all’attivo, i traffici tra Venezuela e Perù: un profilo internazionale di un singolo che riflette la struttura mondiale dell’organizzazione a cui fa capo.

Lelluccio non si è limitato al narcotraffico, ma sta portando a compimento la perfetta equazione camorristica: alla droga ha unito degli investimenti in campo immobiliare e nel dio cemento, come dimostrano le villette da 20 milioni di euro ciascuna che gli sono state sottratte in Spagna all’inizio di quest’anno.

Perché una persona che è immersa fino ai gomiti in questo genere di traffici illeciti e non, dovrebbe elevarsi ad un furto d’arte?

In una prima analisi, ciò che potrebbe spingere un’organizzazione criminale a trafficare in questo campo è il fatto che vedano anche nell’arte un investimento, un finanziamento vantaggioso. A tal proposito, è bene precisare che i due quadri di Van Gogh in questione rispondevano ad un valore complessivo di 100 milioni di dollari.

Ma scavando nella psicologia distorta e nei codici d’onore che sono alle base di queste personalità, non sarebbe anomalo dedurre che il motivo di questi furti potrebbe essere “lo sfizio” di sottrarre un bene alla comunità e renderlo un tesoro privato.

La vera bellezza incontra e si confonde con lo squallore del mondo, al solo scopo di divenire oggetto d’arredo in ambienti barocchi, nascosti in bunker dalle facciate cadenti.

Ammesso e non concesso che Imperiale sia stato mosso da intenti culturali, ipotesi quasi certamente da escludere, la camorra non è nuova a certe spinte artistiche: anche se parliamo della Settima Arte, è famosa l’emulazione che Walter Schiavone ha riservato a Tony Montana, attraverso la sua magione a Casal di Principe in perfetto stile Scarface.

Le opere recuperate sono “La spiaggia di Scheveningen” del 1882 e “L’uscita dalla chiesa protestante di Nuenen” del 1884, rispettivamente il primo e terzo quadro che il visitatore incontrava nel Museo: entrambi olio su tela, appartengono al primo periodo dell’artista.

In questa fase Van Gogh aveva iniziato da pochi anni il suo percorso in Accademia, stava lentamente subendo la fascinazione religiosa, eredità del padre, che camminava su un doppio binario con l’attrazione per il mondo contadino: tutti questi diversi fattori spinsero l’artista ad osservare donne e uomini nei campi e i tanti pescatori che popolavano le coste olandesi. Il villaggio di Scheveningen era il più interessante in tal senso e lo ha ispirato nella creazione del suddetto quadro.

E’ interessante porre un parallelismo tra queste diverse situazioni: come la genesi di questi dipinti trova le proprie radici in una vox populi, anche le organizzazioni criminali hanno notoriamente una derivazione popolare ai loro esordi. Se l’arte ha mantenuto puri i propri scopi ed intenti, è chiaro che queste società hanno perso negli anni il ruolo di difensori del bene comune, per assumere quello inverso di oppositori.

Inoltre, le coste olandesi non lasciano ammirare il mare in maniera totale a causa della presenza di numerose dune: allo stesso modo, un boss di Castellammare di Stabbia non potrà godere di quei meravigliosi panorami che sono le sue origini, perché “costretto” a nascondersi dietro dune chiamate bunker.

Van Gogh ha dato vita a questa raffinata opera quando risiedeva in un villaggio nei pressi del mare: l’idea di vivere tanto vicino ad un ambiente così suggestivo e rappresentarlo da lontano sembra quasi suggerire una condizione di prigionia dell’artista. Per di più, pochi sanno che del quadro in questione esistono ben due versioni, una con acque quiete ed un orizzonte calmo, un’altra, casualmente quella del furto, con un mare in tempesta: la presunta prigionia unita alla burrasca delle vite che conducono questi soggetti, potrebbe aver facilitato la scelta tra le due opzioni.

Per quanto riguarda l’altro dipinto, “L’uscita”, è facilmente riconducibile alla loro onnipresente credenza religiosa, giustificazione primaria dietro cui nascondono ogni loro azione.

Tutto questo avrebbe ragion d’essere se solo un camorrista fosse in grado di elevarsi a simili pensieri e associazioni, il che è difficile da immaginare e forse, anche solo ipotizzandolo, gli stiamo facendo un favore.

“Ciò che abbiamo visto insieme passeggiando a Scheveningen-la sabbia-il mare-il cielo- è qualcosa che spero ardentemente di poter esprimere un giorno”: Van Gogh scriveva queste parole al fratello Theo, e non aveva sicuramente preventivato la possibilità di veder un giorno trafugata, da un’organizzazione tanto potente, una sua opera.

Allo stesso modo, il nostro Paese non potrà mai sperare di veder restituito il favore: “arrivederci ai Van Gogh”, così ha chiuso ironicamente la questione il colonnello Salerno, a capo della polizia tributaria. Essendo una banda criminale italiana la causa del danno, ritrovarli, recuperarli e restituirli era il minimo che potessimo fare: ma è pur vero che se tutto il mondo facesse altrettanto, altrove non ci sarebbero più quadri da ammirare, e da rubare.

Se analizziamo i fatti degli ultimi 20 anni, ci rendiamo conto che questi “furti di classe” sono divenuti un vero e proprio giro d’affari: per la precisione, si tratta della quarta forma di traffico illecita più redditizia al mondo che smuove fino a 5 milioni di dollari l’anno. Un vero e proprio “mercato nero delle opere d’arte”.

Al Museo di Castelvecchio a Verona, in un solo colpo sono state sottratte opere di Rubens, Mantegna e del Tintoretto.

Nel 2012, al Musee d’Art Moderne a Parigi, è stata la volta di un Picasso e di un Manet.

Nel 2008, a Zurigo nel Museo Buehrie, è stato di nuovo protagonista un Van Gogh, insieme ad un Cezanne, un Degas ed un Monet.

Nel 2003 anche Leonardo Da Vinci è finito nella spirale: il dipinto in questione era la “Madonna dei Fusi”, non collocata entro i confini nazionali, ma residente in Scozia. Fortunatamente anche questa vicenda si è conclusa per il meglio essendo stata scovata in casa di un facoltoso avvocato a Glasgow.

Nello stesso anno della “Spiaggia” e “L’uscita” di Van Gogh, il 2002, è stato rapito anche il famoso “Urlo di Munch” da un museo ad Oslo.

Oltre ad essere evidente che l’arte rappresenta una buona fonte di riciclo e guadagno del denaro per gruppi criminali, è altrettanto chiaro che, in tutto il mondo, s’investe poco nella vigilanza e molto di più nel recupero: perché non prevenire, prima di curare?

Investire in maniera sensata non sembra essere però una prerogativa dei politicanti, almeno non dei nostri: al contrario, anche in campo artistico ci stiamo progressivamente dirigendo verso una continua privatizzazione che ha il solo scopo di restaurare ciò che loro non posso, o su cui non vogliono impegnare soldi e tempo. A tal proposito, celebri sono le possibili compravendite degli Uffizi a Firenze e del Colosseo a Roma.

Un film del 2014 con George Clooney, Matt Damon, Bill Murray e John Goodman ci ha raccontato dell’epica impresa che ha portato, durante la seconda guerra mondiale, un gruppo di uomini a recuperare le tante opere sottratte dal fanatismo nazista: li chiamavano “Monuments Men” e ad oggi servirebbe o un manipolo altrettanto valoroso, oppure quest’ultimi hanno capito che l’onestà non ripaga e si sono schierati dalla parte del crimine.

Dostoevskij sosteneva che “la bellezza salverà il mondo”: ma come fare, se ce la rubano?

Irene Tinero

 

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