Ho visto un Re

Baroncini

Ho visto un re:  era il Re dei Giullari, di quelli medievali come si vedono ritratti nella pietra del duomo di Wiligelmo a Modena, nudi col cappello in testa a cavallo di bestie feroci, perchè la verità che sfida il potere, per essere assoluta e potente, ha bisogno prima di tutto di svestirsi.

Ho visto un Re, il Re dei Giullari, e l’ho visto in tv, quando svelava a tutti il suo Mistero Buffo. Raccontava  storie  antiche restaurate, riempiva a tutti gli occhi di parole, la gola di sospiri per amore, illuminava il buio con trenta lune di cartone con dentro le lanterne col carburo da far sembrare la luna un solleone. In cambio chiedeva che gli si battessero le mani, che si mettessero le bandiere sui balconi e che si rimanesse allegri sempre, ché il nostro piangere fa male al Re. Non si capiva molto di quello che diceva, però spingeva a riflettere, e poi faceva ridere. C’è voluto del tempo perché il suo grammelot ci appartenesse come una lingua nuova. Chi cercava di riconoscere in quel miscuglio di suoni qualcosa del proprio dialetto, si perdeva. Chi semplicemente si abbandonava alla corrente delle parole disarticolate e della gestualità, capiva tutto. Il grammelot era un colto trionfo dell’ignoranza.

“Dario Fo non solo faceva teatro, era teatro” ha detto di lui Moni Ovadia. Spirito irriverente, controverso e discusso, non a tutti piaceva. I suoi spettacoli potevano risultare dissacranti, di lui dissero che era un imbroglione ideologico: arruolato nella Repubblica di Saló, poi simbolo dell’estrema sinistra, girotondino e infine legato al Movimento 5 stelle, ebbe rapporti complicati con la politica. Il premio nobel  del 1997, vent’anni dopo il Mistero Buffo in tv, lo consacrò Sommo Giullare, capace di sfidare i potenti e restituire dignità agli oppressi. Censurato recentemente da Erdogan insieme a William Shakespeare e ad Anton Checov, Dario Fo è arrivato al traguardo dei 90 anni in buona compagnia.

Ho usato le registrazione degli spettacoli di Dario Fo per capire qualcosa che tra le righe mi ero persa: il senso del contrasto di Cielo D’Alcamo, (rosa fresca aulentissima), i bassorilievi del duomo di Modena, le scatole di luce che Caravaggio allestiva per dipingere. Perché Dario Fo era prima di tutto un pittore.

“Dico sempre che mi sento attore dilettante e pittore professionista. Se non possedessi questa facilità naturale del raccontare attraverso le immagini, sarei un mediocre scrittore di testi teatrali, ma anche di favole o grotteschi satirici”.

Come pittore, e pittore di se stesso, lo voglio ricordare con il racconto di un suo autoritratto rivendendomi le parole che un amico regista mi ha scritto pochi giorni fa:

“Una volta, dopo una recita di Mistero Buffo, invitai Fo a una grigliata nel mio

studio in campagna, vicino a Faenza. Mentre cuocevo le braciole lui dipinse sul muro un giullare a grandezza naturale. Usò carbone, erba, pezzi di mattone di diverse tonalità d’ocra. Lo firmò pure. Una meraviglia.”

di Daniela Baroncini

 

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