Stragi ’92: chiesto rinvio a giudizio per Messina Denaro

Claudio Caldarelli

I pm di Caltanissetta hanno chiesto il rinvio a giudizio del boss mafioso superlatitante Matteo Messina Denaro, in quanto considerato uno dei mandanti delle stragi siciliane del 1992. Dietro la strage di Capaci dove furono assassinati il giudice Giovanni Falcone sua moglie Francesca Morvillo e i ragazzi della scorta c’era Messina Denaro. Così come c’era nella strage di via D’Amelio, dove fu assassinato il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.
L’udienza preliminare è stata fissata per il prossimo 22 Dicembre. La richiesta di rinvio a giudizio è stata notificata alla madre del boss latitante a Castelvetrano in provincia di Trapani. Si apre un nuovo capitolo sulla stagione delle stragi che sicuramente aiuta a capire gli intrecci in quel periodo oscuro della storia in cui i servizi di intelligence manipolavano gli eventi. L’ordinanza di custodia cautelare per Matteo Messina Denaro era stata emessa dal gip nisseno nel gennaio scorso. Per il procuratore capo Amedeo Bertone, i sostituti Lia Sava e Gabriele Paci e il pm Stefano Luciani, il boss superlatitante fu tra i componenti della cupola mafiosa che decisero la morte di Falcone e Borsellino.
Secondo la ricostruzione dei pm, il ruolo di Messina Denaro già condannato in via definitiva per le stragi del ’93, emerge dalle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia, che in diverse occasioni, hanno spiegato come il boss, reggesse già al tempo il mandamento della provincia di Trapani, facendo le “veci” del padre, il capomafia Francesco, detto Ciccio, Messina Denaro. “Il coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nelle stragi del ’92 incarna il progetto della strategia stragista unitaria messa in atto da Cosa Nostra” aveva dichiarato l’allora procuratore Lia Sava durante la conferenza stampa in cui si parlava dell’ordinanza di custodia.
I collaboratori di giustizia Vincenzo Sinacori e Francesco Geraci hanno raccontato più volte che Messina Denaro avrebbe preso parte, a settembre del 1991 al summit mafioso di Castelvetrano in cui si sarebbe pianificato di uccidere il giudice Falcone. “ Il 23 ottobre è il giorno in cui viene iscritto a ruolo il maxi-processo, avevano spiegato i pm, e Totò Riina apprende che Presidente non sarà quello scelto e voluto, ma Valente, definito un “gran cornuto”, nel senso di inavvicinabile. E’ lì che, alla presenza dei Graviano, di Sinacori, Mariano Agate, si inizia a progettare la vendetta verso i traditori e l’eliminazione di Falcone, Martelli, giornalisti ed uomini di spettacolo che si erano messi in prima posizione contro la mafia”.

di Claudio Caldarelli

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