Il suicidio di Tiziana Cantone e il ruolo dei Media

Conosciamo tutti la triste storia di Tiziana Cantone, la trentunenne napoletana che si è tolta la vita lo scorso settembre dopo la diffusione di alcuni video, filmati dal suo partner o da alcuni amanti, che la ritraevano in momenti di intimità sessuale. Così come in molti conosciamo la sorte che è spettata a questi video, la loro incredibilmente rapida ed estesa diffusione, tale da rendere la donna completamente riconoscibile, senza possibilità di scampo.

Rimbalzato da alcuni siti pornografici ai social network, rimescolato in tutte le salse attraverso un’infinita quantità di memes, montaggi, rivisitazioni e addirittua tormentoni dei villaggi estivi, la popolarità di questo materiale ha portato persino alcune delle maggiori testate nazionali a parlare del caso, occasione ghiotta per ottenere il maggior numero possibile di visualizzazioni, senza escludere foto del volto, nome, cognome e provenienza, in barba a qualsiasi deontologia.

Dal giorno immediatamente successivo al suicidio della donna, il dibattito è divampato tra le stesse testate che, nel mentre si accusavano l’una l’altra, erano impegnate a rimuovere quegli articoli scomodi che avevano pubblicato nel precedente anno e mezzo. Tutti, però, insieme a radio, telegiornali e talk show, d’accordo su chi fosse il colpevole: il web.

Lasciando da parte i vari modi attraverso i quali più o meno tutti hanno cercato di interpretare il motivo psicologico per cui Tiziana Cantone si fosse suicidata, è interessante osservare come la maggior parte della pubblica opinione abbia concentrato l’attenzione sul pericoloso potere dei media, a cominciare dallo smartphone che ha permesso le registrazioni e le ha diffuse attraverso applicazioni come WhatsApp, passando per i social network che le ha rese popolari, e arrivando in fine al punto di dire che uno strano mostro semovente, il Web figlio della nuova tecnologia, sia stato il responsabile, senza ad esempio mai tirare in ballo l’uomo che per primo ha diffuso il video.

Possiamo dire, parlando per sommi capi, che dietro a questa situazione entrano in gioco due temi generali, ovvero quello del ‘Revenge Porn’, come ad esempio molte testate straniere hanno sottolineato, e quello del Cyber-bullismo; due aspetti da tenere ben presenti e da analizzare da differenti punti di vista: perché se se nel primo caso si punta l’attenzione sulla vendetta sentimentale, quindi sul singolo, nel sencondo caso dobbiamo fare attenzione al fenomeno del branco, della reazione del gruppo che spalleggiandosi soverchia le difese di chi mostra il fianco. E la facilità con cui oggi un contenuto di qualsiasi natura, anche decontestualizzato, può essere diffuso con una rapidità disarmante, il fatto che il computer sia un posto perfetto dove nascondersi, ha sicuramente inasprito e spinto al limite la tendenza umana ad aggregarsi contro il più debole, scavalcando quei limiti e filtri che i vecchi media, non partecipativi, avevano in qualche modo mantenuto.

Trenta o più anni fa, una storia come quella della Cantone era sostanzialmente impossibile da ascoltare. Si scattavano foto o registravano video di momenti privati, ed era possibile diffonderli senza il consenso della controparte, avendo il potere di distruggere la sua vita. Ma era comunque qualcosa che rimaneva entro un determinato limite spaziale, una ristretta cerchia di persone. Amici, parenti, ma nessun cinema o emittente televisiva avrebbe trasmesso o proiettato tale materiale, era ancora possibile cambiare nome, paese, lavoro. Il video di Tiziana è conosciuto anche qui in Repubblica Ceca.

Quello che dimentichiamo però, è che nessun tipo di media o nessun mostro chiamato web, esercita un controllo su di noi. Nulla registra, scrive, condivide al posto nostro. Queste nuove tecnologie sono uno strumento potente in mano alle persone, e le persone hanno ancora il potere maggiore di decidere come servirsene. Dire che il web abbia ucciso la Cantone è come dire che i milioni di morti della seconda guerra mondiale siano stati causati dalla potenza delle nuove armi, o dai nuovi strumenti mediatici di propaganda, invece che dalle idee e dagli ordini di chi l’ha intrapresa.

Dietro ogni strumento c’è una persona che lo usa, e per quanto potente questo strumento sia, l’azione e la conseguenza dipende dalla volontà dell’attore: qualcosa che né Facebook né gli altri social network hanno.

di Simone Cerulli