Lo spot oltre Sanremo
Non siamo noi che ci occupiamo di Sanremo ma esso che si occupa di noi anche se non abbiamo la TV.
Quando da solo uno spot pubblicitario – come quello coreografico di Tim con la voce di Mina – supera per qualità e novità in blocco tutto l’evento che doveva contenerlo, non si poteva certo pretendere vincessero canzoni in vecchio stile di forma e contenuto come quella della Mannoia o della Atzei, con il loro messaggio troppo falsamente consolatorio sulla spietatezza dell’esistenza nell’attuale epoca della tecno-globalizzazione. “Per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta”, canta Fiorella, suggerendoci che tutto ciò che di bastardo ci viene fatto ingoiare dalla crisi alla fine sarà prodigiosamente riscattato. Evangelicamente dunque: “Che sia benedetta”. Per una che ha appena fatto un disco intitolato “Combattente” non c’è male. Bianca Atzei, con la sua bella, potente voce, ci dice addirittura che “da quando stiamo insieme non esiste più una nuvola”. E poi che “se sto bene è perché non penso più a chi mi ha fatto soffrire”. Come se la moltitudine di ragazze e ragazzi senza redditi, diritti e lavoro avessero cessato di amarsi, o avessero voglia di farlo, dato che non possono smettere di pensare a chi li sta facendo soffrire, cancellando il loro futuro. Anche la canzone di Ermal Meta, più testualmente cruda e formalmente attuale, non sfugge in fondo a tale limite: “Cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai”.
Quello spot che fuoriesce e ingloba in sé l’intera manifestazione-madre dimostra invece che tale epoca sussume tecnicamente in sé le forme e i contenuti più avanzati, avanzanti, di tendenza in ogni campo della realtà – per quello che essa è, senza infingimenti. Così non la facile e fasulla consolazione esistenziale ma l’ironia raffinata e beffarda diventa lo spettacolare strumento di comodo del potere. La vincente “Occidentali’s Karma” contiene in sé un trans-musicale e testuale che abbraccia e giustifica la globalità orientale e occidentale, meridionale e settentrionale, invitandoci ad accettarla, ad adattarci ironicamente a essa: “L’intelligenza è demodé/ risposte facili/ dilemmi inutili/ L’evoluzione inciampa/ La scimmia nuda balla”. Così sia la teoria evolutiva dello zoologo Desmond Morris, sia quella filosofica di Guy Debord sulla società dello spettacolo sono ormai anch’esse sussunte dentro il pezzo di Gabbani e la prodigiosa tecno-sintesi musicale e scenografica di quello spot.
Ora la Rai brinda per il botto di ascolti, ma dirigenti, conduttori e dipendenti devono stare in guardia, perché se lo sponsor unico del Festival riesce in pochi minuti di clip a fare qualcosa di nettamente superiore a tutte le scontate ore di festival, nulla impedirà a questa azienda di fare una nuova televisione fondata su un paradigma molto più avanzato. D’altronde come può essere innovativa un’azienda che è ancora sotto il dominio di cariatidi del potere politico-mediatico come Pippo e Bruno?
di Riccardo Tavani