Lotta alla corruzione: in Perù si può, in Italia è tabù

L’attuale presidente del Perù, Kuczynsky, eletto a 77 anni nel giugno del 2016, ha pronunciato in televisione un discorso, per annunciare un decreto legislativo appena emesso sulla lotta alla corruzione. Tale decreto contiene i seguenti nove punti: 1) Le imprese condannate per corruzione non potranno mai più lavorare per lo Stato. 2) Anche i funzionari corrotti non potranno mai più lavorare per lo Stato. 3) I contratti con lo Stato obbligatoriamente conterranno la clausola anticorruzione che ha la finalità di proteggere gli interessi del Paese. 4) Verrà triplicato il bilancio delle Procure al fine di arrestare i ladri (in lingua peruviana: atropar). 5) I ministri e il presidente hanno comunicato tutte le informazioni sulla loro situazione patrimoniale alla commissione per la Integrità istituita con il governo attuale. 6) Il presidente raccomanda a tutte le alte cariche dello Stato di fare lo stesso. 7) Le imprese di cui è stata accertata la colpevolezza o verso le quali è stata emessa sentenza per corruzione non possono trasferire risorse economiche fuori dal Perù fino a quando non abbiano pagato tutti i loro debiti verso i lavoratori e i fornitori e non abbiano risarcito i danni cagionati allo Stato peruviano. 8) Queste imprese dovranno chiedere l’autorizzazione dello Stato per vendere i loro beni. 9) Il ricavato della vendita andrà a un fondo di garanzia del pagamento delle multe.
Siamo in Perù, non in Italia, dove la legge anticorruzione giace in Parlamento da alcuni anni, il cui testo prevede il licenziamento per i dipendenti corrotti e i politici condannati per corruzione potranno essere interdetti dai pubblici uffici per un massimo di cinque anni. Questo significa che, dopo cinque anni i politici corrotti possono tornare a rubare con il consenso della legge varata dal Parlamento. Corrotti e contenti. La lotta alla corruzione che attanaglia e impoverisce il Paese, è un viatico fatto di rimandi, di attese, di urla mediatiche, di crisi di governo, ma di fatto la lotta alla corruzione in Italia non si fa. Il commissario all’Agenzia Anticorruzione Cantone, segnala casi quasi tutti i giorni, ma si continua a corrompere, a rubare soldi pubblici, senza che il governo vari provvedimenti seri e funzionali. Eppure l’attuale governo, come il precedente, di cui è la fotocopia sbiadita, possiede in Parlamento una maggioranza qualificata per poter legiferare. Ma visto lo scandalo Consip, Banca Etruria, Monte dei Paschi di Siena, e tanto altro ancora, il governo e l’attuale maggioranza parlamentare, non hanno interesse a legiferare. La metà del governo dovrebbe andare a casa, così quasi la metà dei parlamentari, ma anche gli amministratori delle Regioni e Comuni. Senza tralasciare i funzionari o i Grand Commins dei Ministeri, che tessono la tela e la disfano a seconda delle convenienze dei poteri a cui fanno riferimento. Spesso, questi poteri sono mafiosi. I legami tra corruzione politico amministrativa e cupole mafiose, n’dranghetiste e camorriste sono evidenziate da anni di indagini delle procure di quasi tutta Italia.
Nel libro “Il sistema della corruzione” Pier Camillo Davigo critica la legge Severino fatta dal Parlamento italiano in quanto ha aumentato le ipotesi penali piuttosto che restringerle, rispetto alla chiara normativa elaborata dalla Convenzione del Consiglio d’Europa del 1999. Ancora una volta dovremmo prendere lezione dai presidenti latino-americani.

di Claudio Caldarelli

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