I cori di Muntari, le proteste di Zoro e i gol di Kean

È il 44esimo del secondo tempo di Cagliari-Pescara. Dagli spalti del Sant’Elia piovono insulti e ululati razzisti. In mezzo al campo c’è Sulley Muntari, centrocampista ghanese che gioca con gli abruzzesi. Si lamenta con l’arbitro, va a parlare con il guardalinee. “Ma non li sentite cosa stanno dicendo?” urla. Per il direttore di gara sono proteste da sanzionare con il cartellino giallo.

Muntari non ci sta più, all’ennesimo ululato si ferma e abbandona volontariamente il campo. “Avete visto tutti quello che è successo. I tifosi facevano i cori durante il primo tempo. C’era un bambino piccolo che li faceva con i genitori vicino. Allora sono andato lì e gli ho detto di non farlo. Gli ho dato la maglia, per insegnare che non si fanno queste cose. Serve dare esempio per farli crescere bene. Poi nel secondo tempo è successo con la loro curva e ho parlato con l’arbitro. E lì mi ha fatto inc… Mi ha detto che non dovevo parlare con il pubblico. Gli ho chiesto ‘ma tu non hai sentito?’ Ho insistito dicendogli che doveva avere il coraggio di fermare la partita. L’arbitro non serve solo a stare in campo e fischiare, deve fare tutto. Anche sentire queste cose ed essere da esempio”.

Muntari non è stato il primo e probabilmente non sarà nemmeno l’ultimo. Era il 2005 quando Marco Andrè Zoro, difensore ivoriano del Messina, nel bel mezzo della sfida contro l’Inter a San Siro, prende il pallone, se lo mette sotto braccio ed esce dal campo. “Io non voglio fare il personaggio. Ma non accetto che la gente venga nello stadio, in casa mia, per rivolgermi insulti razzisti. Ho accettato di tornare in campo solo per loro perché mi dispiaceva di far perdere la partita all’Inter o fare uno sgarbo a dei miei colleghi”.

Dodici anni dopo, la storia di Muntari, rischiava di andare addirittura peggio. Perché il cartellino giallo rifilato dall’arbitro avrebbe squalificato il calciatore per una giornata. Ma come? Un gesto di protesta non solo non viene celebrato ma addirittura punito?

Fortunatamente la FIGC ha annullato la sanzione e sono arrivate anche le scuse del club sardo: “ La tifoseria del Cagliari non è razzista: lo dicono la nostra rosa, la nostra storia e tradizione. Detto questo, chiaramente la Società condanna fermamente ogni forma di razzismo e di violenza”.

A Cagliari come a Milano, in tutti gli stadi almeno una volta a partita sentirete insulti razzisti. E allora cosa fare? Condanne, multe più dure, campagne di sensibilizzazione servono ma non bastano.

Il vero alleato nella lotta al razzismo è il tempo. Passeranno i calciatori, i campionati e cambieranno le squadre. Così cambieranno le generazioni di tifosi. Abbiamo iniziato con Balotelli e Ogbonna a capire che il colore della pelle non conta per la nazionale, oggi continuiamo con Moise Kean, attaccante classe 2000 della Juventus. Pelle nera e nato a Vercelli. Già 2 presenze con i Campioni d’Italia e 8 gol per la nazionale italiana under17. Per i tifosi del domani sarà la normalità e non vedranno più differenze tra calciatori italiani e calciatori stranieri, non vedranno differenze tra l’attaccante africano e il difensore francese. Anche perché differenze non ce ne sono, ma per farci caso deve solo passare un po’ di tempo.

di Lamberto Rinaldi

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