Cosimo Cristina, suicidato dalla mafia

Sogni, coraggio e passione. Tutte le storie che hanno come protagonista un giovane hanno per forza anche questi tre ingredienti. La stessa regola vale per Cosimo Cristina, giornalista suicidato dalla mafia nel 1965.

Tra i sogni che quasi tutti hanno, a cavallo dei vent’anni, c’è forse quello di fare il giornalista. C’è voglia di raccontare, denunciare, capire. Cosimo, a vent’anni, vuole spiegare a tutti quali sono i rapporti di potere nella sua Termini Imerese. Collabora con l’Ansa, con L’Ora di Palermo, con il Messaggero di Roma. Parla di delitti, di cronaca nera, di omicidi. Entra nel merito di nomi e parentele, di legami d’affari e di trame nascoste.

Sono argomenti proibiti, troppo scomodi per un corrispondente di vent’anni. I suoi articoli vengono tagliati o addirittura scartati.

Così Cosimo, insieme all’amico Giovanni Capuozzo, decide di fondarsi un giornale tutto suo. Lo chiama Prospettive Siciliane e come sottotitolo ci mette la frase “senza peli sulla lingua”. “Con spirito di assoluta obiettività, in piena indipendenza da partiti e uo­mini politici – scrive Cosimo nell’editoriale del primo numero – ci proponiamo di trat­tare e discutere tutti i problemi inte­ressanti dell’Isola, avendo come no­stro motto: senza peli sulla lingua. Tutto questo perché noi vogliamo che la Sicilia non sia solo quella fol­cloristica delle cartoline lucide e stereotipate, né quella delle varie figurazioni a roto­calco e di certa stampa deteriore, per intenderci la Sicilia di Don Calò Vizzini e di Giuliano, ma la Sicilia che faticosamente si fa strada come pulsante cantiere di lavoro e di rin­novamento industriale”.

È con coraggio e con passione che Cosimo entra in storie più grandi di lui. Come quando scrive della collusione di due monaci di Mazzarino con una banda di briganti, oppure dell’assassinio di Onofrio Battaglia, mafioso di Valledolmo, o di Rosa Arusio, ad Alcamo.

“Cosimo è stato ucciso perché scriveva sui giornali – racconta la madre in un’intervista – e glielo dicevo io di essere prudente. Non mi ascoltava. Mi hanno riferito che molti ridevano quando qualcuno di quelli lo avvicinava per strada e lo minacciava senza mezzi termini. Fondò il suo giornale per potere scrivere di più e meglio contro la mafia. La sua condanna a morte fu decisa quel giorno”.

Quel ragazzo che gira per la provincia armato di penna e taccuino inizia ad essere troppo ingombrante. La mafia decreta la sua morte e decide di mettere in scena una farsa. La stessa che qualche anno più tardi coinvolgerà Peppino Impastato. Il corpo di Cosimo Cristina infatti viene fatto trovare sui binari all’interno della galleria ferroviaria Fossola vicino Termini Imerese. La sua fine viene bollata come suicidio.

Anni di riapertura dei fascicoli, di indagini, di autopsie ancora non hanno portato ad una verità ufficiale e soprattutto a dei colpevoli. Furono accusati Agostino Rubino, consigliere della Democrazia Cristiana, e il capo Santo Gaeta, entrambi assolti.

Dal 21 marzo scorso, intanto, l’aula magna dell’Istituto Comprensivo di Tisia d’Imera porta il suo nome. Aula Cosimo Cristina, al suo interno si parlerà di mafia e di giornalismo, ma anche di sogni, coraggio e passione. Come tutti i giovani.

di Lamberto Rinaldi

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