Siamo uomini o caporali?

Quando il lavoro è ancor più sfruttamento

Nell’omonimo film del 1955, il grande Totò divideva l’umanità in due grandi categorie, gli uomini ed i caporali, ponendo nella prima chi aspiri ad una vita dignitosa grazie al proprio agire e nella seconda chi vessi, taglieggi e approfitti dei primi, in virtù della propria posizione, del proprio potere. Ma è difficile riuscire a ridere come per le scene di quel film, quando si parla di “caporalato”: spesso collegato ad organizzazioni malavitose, è fortemente connesso al popolo dei disagiati, dei deboli, dei sans papiers, dei senza diritti, finalizzato allo sfruttamento di manodopera a basso costo, soprattutto nel settore agricolo. Ovviamente, in Italia quasi sempre il popolo degli sfruttati s’identifica con quello degli immigrati irregolari, ma è bene ricordare che anche gli italiani muoiono di fatica nei campi. In questo quadro, il “caporale” assume per conto del proprietario, dei lavoratori precari, stabilendone il compenso e la percentuale che tratterrà per sé, nonché i termini (orari, obblighi) del lavoro che dovranno prestare. Ovviamente, questa pratica piuttosto antica, è chiaramente illegale, perché impone ai lavoratori orari massacranti al di fuori da ogni legge, oltre a sottopagarli e taglieggiarli.

In fortemente radicalizzata in certe realtà, costituisce uno dei tanti punti oscuri della nostra società, in mano alla criminalità, mafiosa e non. In ogni caso, spesso il caporalato è un fenomeno connesso anche alla tratta di esseri umani e comprende realtà indistintamente del nord e del sud del paese, seppur con diversi livelli di intensità. Nel nostro paese si calcola che vi siano circa 430000 individui sfruttati (dei circa 880000 in ambito comunitario, perché il fenomeno compare anche in Spagna, Francia), di cui 100000 in gravi condizioni di sfruttamento e di vulnerabilità alloggiativa. E, nonostante la progressiva “precarizzazione legale” del mercato del lavoro, la differenza di trattamento nel lavoro sotto caporalato, rispetto a quello regolare, rimane notevole: salari inferiori del 50% ed orari di lavoro tra le 8 e le 12 ore giornaliere, quando non vi sia il pagamento a cottimo, senza contare le violenze, i ricatti, la sottrazione dei documenti, l’imposizione di beni, trasporto ed alloggio, da parte dei caporali, quale mezzo ulteriore per lucrare sulla vita e sulla fatica dei lavoratori più vulnerabili. A seguito delle ispezioni delle autorità (cresciute del 59%, ma sempre troppo poche, per intaccare il sistema), è risultato che più della metà dei lavoratori delle attività agricole sono totalmente o parzialmente irregolari.

Il recepimento di direttive comunitarie da parte del governo italiano, hanno portato ad un maggiore deterrente, con l’inasprimento delle possibili sanzioni ai danni delle aziende che usino manodopera irregolare e sottoposta a simili pratiche (si può arrivare al sequestro di beni e strumenti di produzione), ma ancora non è stata posta la corresponsabilità penale dell’imprenditoria, in casi di simile sfruttamento, come invece per i caporali. Anche attraverso imprese intermediatrici (agenzie di lavoro interinale, o cooperative) apparentemente regolari, spesso si nasconde il modo per far sembrare legale un lavoro dalle condizioni precarie ed indecenti: si parla di “Cooperative senza terra”, per indicare imprese che svolgono fittiziamente lavoro agricolo eludendo i vincoli contrattuali di settore. Ma in tutte le realtà, ogni accertamento, ogni inchiesta, ha origine da denunce del sindacato di settore, poiché l’attività ispettiva è esigua per carenza di risorse (uomini e mezzi). Questo odioso fenomeno non riguarda solo le zone più arretrate del mondo, o aree ben circoscritte dell’Unione Europea, ma anche nella modernissima e ricchissima California, ci sono piantagioni in cui lavorano bambini clandestini. Il dato globale deve far riflettere: sul nostro pianeta, si stima che ci siano 3,5 milioni di lavoratori agricoli in condizioni di schiavitù, che portino ad un profitto (illecito) di circa 9 miliardi di euro.

Se non vogliamo essere moralmente anche noi dei “caporali”, nel senso espresso dal principe della risata, quando vediamo le scene degli sbarchi dei migranti sulle nostre coste, non dovremmo solo pensare ai bivacchi nei pressi delle frontiere, alle panzane dei 35 euro da loro intascati “per non fare niente”, o alla paura cavalcata da squallidi politici benpensanti e calcolatori (in termini di equazione: xenofobia=voti), ma dovremmo essere più “uomini” e ricordare che tra coloro che fuggono nel nostro paese, spesso ci sono quelli che fan sì che arance, pomodori ed ogni altra verdura che troviamo nel piatto, non costino troppo, perché il prezzo più alto è quello pagato dagli sfruttati dei campi, soprattutto dagli irregolari che lavorano per un tozzo di pane.

di Mario Guido Faloci

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