Gelo a Belgrado. I migranti a piedi nudi nella neve

Un’immensa distesa di neve, un paesaggio bianco, candido, interrotto solo dal nero di lunghe file di uomini che, visti da lontano sembrano tante formiche di ritorno al formicaio. Invece sono ragazzi e ragazze, donne e uomini e persone anziane con i piedi immersi nelle lame della gelida neve. Molti di loro hanno i piedi nudi e solo una coperta per ripararsi. Sembra una scena di un film sulla seconda guerra mondiale, quando le deportazioni erano all’ordine del giorno, quando i popoli europei conobbero fame e freddo, tanto freddo, il gelo delle steppe russe e dei venti siberiani. Ma qui non siamo in Russia, siamo a Belgrado, in Serbia, la nuova prigione di ghiaccio per migliaia di persone rimaste intrappolate qui dopo la chiusura della rotta balcanica la scorsa primavera. Dal 6 ottobre scorso, il confine bulgaro-turco è pattugliato dalla European Border and Coast Guard Agency, nuova agenzia di controllo della frontiera Schengen. Ora che le temperature sono crollate vertiginosamente, queste persone, che non hanno né un riparo, né da mangiare, soffrono all’inverosimile e la falce della morte miete quotidianamente le proprie vittime. Nove casi di ipotermia in sole 24 ore e due adolescenti di 14 anni sono stati portati d’urgenza in ospedale per inizio congelamento degli arti inferiori.

Pochi giorni fa alcuni contadini del paese di Izvor, nella regione di Burgas, si sono imbattuti in due uomini, sepolti dalla neve e completamente congelati. Avevano 28 e 35 anni. Erano solo due ragazzi, in fuga da un Iraq sempre più in mano dell’Isis. Sono morto vicino al monte Strandzha, meta scelta dai migranti illegali perché unico punto dove la zona è senza recinzioni. E sono morti il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, che per i musulmani simboleggia una sorta di riscatto per il mondo islamico, un’occasione per sostituire a tutte le ingiustizia della società l’idea di un Islam perfetto, giusto e solidale.

Appena quattro giorni prima, il 2 gennaio, nella stessa zona, era stata ritrovata la prima vittima del feroce inverno 2017 dei Balcani: il corpo di una ragazza somala, congelata vicino al paese di Ravadinovo.

Sono storie che fanno male al cuore, perché storie di ragazzi, che hanno affrontato enormi atrocità e che sono chiamati all’ennesima, terribile prova che potrebbe rivelarsi anche l’ultima. Quando arrivano le foto delle file interminabili di persone costrette ad aspettare un piatto di minestra con le ciabatte ai piedi sprofondate nella neve, mi chiedo come è possibile dare ancora credito alle parole delle destre europee, che fanno dell’odio e della discriminazione il proprio stendardo. Mi chiedo, come scrisse Levi, se questi sono uomini.

di Giovanni Antonio Fois

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