Non è tutto da buttare.

Ghentian, sedicenne albanese approdato in Italia negli anni ’90 all’alba del fenomeno della migrazione, fu collocato come apprendista in un laboratorio di restauro di mobili antichi. Gli ci vollero mesi per capire come mai fosse necessario spendere tanto lavoro per vecchi mobili rotti e quasi inservibili e per quale (per lui) misterioso motivo quei pezzi di legno polveroso potessero avere un valore decisamente superiore a quello dei mobili nuovi.

Questo era eri. Oggi siamo noi a restare stupiti all’idea che l ‘Austria accenda le luci delle case coi rifiuti, riciclando i suoi e i nostri scarti in un’operazione complessa che sembra incredibile, ma funziona.

Cos’è che fa di un tavolo vecchio un arredo prezioso, di un camion di immondizia una luce nel buio, che cosa trasforma uno scarto in un valore? La necessità, la cura, la tecnica, l’abilità, l’impegno,l’ingegno, il sapere. E una certa cultura, un certo modo di pensare il mondo.

Non tutto é da buttare.

Resti, residui, scarti, scorie, spazzatura, pattume, immondizia, monnezza: quante definizioni! Come se fosse impossibile dare un nome all’innominabile, come se esistesse un peso non classificabile, quello della spazzatura, del quale preferiremmo non pronunciare neanche il nome, vorremmo sbarazzarcene e non ci riusciamo. Gli avanzi sono parte di noi, sono la persistenza di un passato che sembra degradato e distante, ma rappresentano la traccia più importante che lasciamo del nostro passaggio sulla terra, oltre che il prodotto più ingombrante della nostra società. I rifiuti ci inquietano, ci infastidiscono, eppure ci appartengono. Il “consumato” di cui vogliamo disfarci ha implicazioni etiche, sociali. Se l’Austria accende le luci delle case coi rifiuti, dobbiamo riconsiderare l’idea che solo mettendo  lo scarto al centro delle idee riusciremo a salvarci dai rifiuti e immaginare un domani nel quale probabilmente saranno proprio i rifiuti a salvare noi.

In questi giorni di emergenza cittadina per la “monnezza” romana che lievita, di emergenza nazionale per i “migranti” considerati sempre più persone di serie B, percepiti come rifiuti di altri continenti scaricati sulle nostre coste, vale la pena rileggere una storia che induce ad una più profonda riflessione sulla cultura dello scarto.

E’ un racconto che ha i suoi bei 2400 anni e che parla di Filottete.

Filottete è uno dei principi greci partiti alla conquista di Troia, il più grande arciere conosciuto: il suo arco magico non sbaglia un colpo. Durante il viaggio verso Troia viene  emarginato e abbandonato su un’isola a causa di una ferita purulenta e maleodorante che rischia di infettare, non tanto fisicamente quanto moralmente, la comunità. Filottete da eroe diventa un rifiuto (umano) accantonato per 10 anni su una terra  muta e deserta. Ma a questo particolare scarto di uomo capita di diventare indispensabile e molto utile, perché il possesso del suo arco, l’arco di magico di Filottete, è la condizione dettata dall’oracolo per la conquista di Troia da parte dei greci. Viene quindi “recuperato” dai compagni che l’avevano abbandonato: Filottete ripugna, ha un odore insopportabile, ma serve  per vincere la guerra.

Non tutto è da buttare, anzi.

Filottete è l’eroe tradito e messo da parte attraverso cui siamo costretti a cercare il sacro che sta al cuore di ogni rifiuto e di ogni rifiutato.

di Daniela Baroncini