Il caldo africano nei campi rom

A Roma quest’estate si sono toccate punte di 44 gradi, senza praticamente alcuna pioggia ad addolcire la temperatura. Un caldo impossibile che ci costringe nelle nostre case alla ricerca di sollievo e che non concede respiro nemmeno alla notte. Chi può usa ed abusa dell’aria condizionata, chi non può apre tutte le finestre sperando in un po’ di riscontro. In ogni caso, le pareti di case ed appartamenti isolano dal caldo e ci garantiscono un ambiente alla peggio un po’ più sopportabile di quello esterno, alla meglio addirittura vivibile. Se però la nostra casa fosse una scatoletta di carta e lamiere, la situazione sarebbe ben diversa. Il caldo monterebbe nelle pareti che non isolano da nulla ma si surriscaldano e basta d’estate, mentre permettono al freddo di entrare nelle ossa d’inverno. Questo è esattamente ciò che che accade nei 7 campi rom ufficiali di Roma, dove il caldo africano è ancora più ingestibile.

Sono l’asfalto cocente e la terra battuta con la sua polvere a farla da padroni nei campi rom. Non ci sono alberi, non c’è ombra. I container leggermente rialzati dal terreno hanno le porte aperte, con adulti e ragazzi boccheggianti all’interno, buttati su un letto con un ventilatore che resta acceso tutto il giorno, per dare a turno sollievo ai diversi membri della famiglia. Con la scuola finita, i bambini che hanno ancora energia giocano, gli altri stanno sfiancati dal caldo dentro o fuori le scatolette. In diversa misura tutti lontani dai centri abitati e da ogni tipo di servizio, i campi non lasciano a chi ci vive altra scelta se non quella di rimanere lì a sciogliersi per il caldo.

Soluzioni abitative uniche nel panorama europeo e fenomeno tutto italiano di segregazione legale per etnia, il campo rom lascia raramente via d’uscita, e non solo per quanto riguarda il domicilio. Isolato e bistrattato, dimenticato dalle istituzioni, il campo ripropone i meccanismi malati di un ghetto ed è terreno fertile per la piccola criminalità. Chi non rimane impigliato nella ragnatela del campo tenta di andar via. I più poveri ma regolari sul territorio possono far domanda per la casa popolare, concessa poi solo in rari casi e specialmente se in presenza di una disabilità in famiglia, mentre chi non ha né soldi né documenti, come nel caso di molti ex-profughi dalla Bosnia, semplicemente non ha i mezzi per uscirne. E’ forse poi ancora più drammatico il caso di chi avrebbe i mezzi per affittare un’abitazione “normale”: provate ad essere rom e a cercare casa. Se non sapete mentire bene sulle vostre origini, sarà ben difficile assicurarsi un appartamento. Intanto il caldo, dopo averci distrutto, sta cominciando a concederci qualche tregua, ma siamo ancora a metà agosto e l’estate è ancora lunga. Aspettiamo la prossima ondata di caldo, il ventilatore nella nostra scatoletta è già pronto.

di Giulia Montefiore

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