In Puglia impera una guerra di mafia tra famiglie ‘ndranghediste

Il 9 agosto sulla strada provinciale 272, tra Apricena e S. Marco in Lamis, in provincia di Foggia, sono state uccise 4 persone. Mario Luciano Romito, Matteo Di Palma, Luigi ed Aurelio Luciani. Il primo si presume fosse il capo clan della famiglia Manfredonia, il secondo era suo cognato e gli ultimi due erano dei testimoni oculari, contadini della zona diventati improvvisamente pericolosi e per questo inseguiti e freddati. Le armi del delitto sono sempre le stesse: kalashnikov, come mamma mafia impone ovunque nel mondo.

Da maggio stiamo assistendo ad una vera mattanza. Tra i casi più eclatanti c’è stato il duplice omicidio di Antonio Petrella e il nipote Nicola Ferrelli, a cui è seguita, il 27 luglio, l’uccisione di Omar Trotta, 31 anni, freddato a Vieste davanti il suo locale, amici, parenti e turisti. Un’escalation di morte che ha portato a rivolgere al ministro dell’interno, Marco Minniti, un invito ad intervenire.

Ciò dimostra che in Puglia, a Foggia, è in corso una lotta per la supremazia tra capi clan. Ora sembriamo essere giunti al culmine con l’uccisione del presunto boss di una delle due fazioni nemiche. Ma le guerre di mafia, si sa, sono dure a morire, così come i loro protagonisti. Mario Luciano Romito era in carcere fino a sei giorni prima del suo omicidio: in 50 anni di vita è sopravvissuto a ben due agguati. Il 18 settembre del 2009 è riuscito a scampare ad un’autobomba, mentre l’anno dopo è sopravvissuto ad una sparatoria in scooter. A morire quella volta fu il nipote 23enne, Michele.

Sono ben trent’anni che il clan Manfredonia è in guerra con un’altra famiglia ‘ndranghedista, i Libergolis. Le cose si sono inasprite a seguito della sentenza di primo grado, nell’ambito del secondo maxi-processo alla mafia garganica del marzo 2009: tutte condanne queste poi confermate in Corte d’appello, che hanno visto infliggere ben 180 anni di carcere ed hanno decimato in particolare il clan Libergolis.

La prima vittima di questa guerra fu il fratello di Mario Luciano, Franco Romito, padre del giovane Michele. Nessuno dei clan avversari sapeva che, negli anni, Franco Romito era diventato un confidente dei carabinieri, coinvolto persino in posti di blocco, così da facilitare il riconoscimento di uomini della mala. Franco iniziò a confidarsi dopo aver seminato odio: un tempo Libergolis e Romito condividevano un’alleanza con il clan Montanari. I primi erano il loro braccio armato, mentre i secondi gestivano i proventi derivanti dalle attività illecite. Poi l’alleanza si è interrotta, rivelano le carte per la gola profonda proprio di Franco, e la guerra è iniziata.

Dall’inizio dell’anno si contano 17 morti, 8 solo nel mese di giugno, nella lotta tra Capitanata e Gargano. Una situazione che la Dia ha definito “molto instabile”, fatta di gruppi verticistici, vincoli famigliari e giovani leve desiderose di sostituirsi a chi è in carcere o chi è già finito sotto terra. In una parola, mafia.

di Irene Tinero

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