Il fuggitivo dall’amore perduto

Il proprio del cinema è l’immagine. L’immagine, la sua composizione fotografica, i movimenti della macchina da presa che la scoprono, il montaggio, le sequenze in cui si succedono sono il linguaggio, la grammatica, la sintassi di base del cinema. Ancora prima della storia, della trama, dei dialoghi. Ossia: storia, trama, dialoghi prendono senso solo in quanto elementi dentro l’immagine. L’immagine è lingua senza necessità di traduzione, ossia è idioma universalmente comprensibile. Per questo il film Loveless di Andrey Zvyagistev, pur parlando dell’attualità antropologica russa, proprio attraverso la forza iconica delle sue scene, fa un discorso sulla situazione umana contemporanea in una grande parte del mondo. Un mondo senza amore, come dice il titolo. Con molto eros, sesso, desiderio d’amore ma senza vero amore. Fin dalle prime inquadrature in movimento di piante incurvate sotto la neve sulle sponde di un fiume in inverno – vera e propria overture che chiude anche l’opera – è subito evidente il contrasto tra algida bellezza e spietatezza del gelo del paesaggio in cui la vicenda si svolge.

Zhenya e Boris, sposati e con un figlio, Alyosha, si sono separati e stanno vivendo entrambi una nuova relazione sentimentale. Lei con un borghese benestante e benpensante, che vive in una elegante casa con design e confort architettonici modernissimi. Lui con una soave ragazza molto più giovane che ha già messo incinta. L’unica preoccupazione di Boris non è per suo figlio Alyosha – che vive con la madre – ma per l’azienda in cui lavora. Qui, infatti, vige il codice non scritto ma imposto dell’obbligo di essere regolarmente sposati. È un indice del crescente tentativo della chiesa ortodossa russa per rilanciare la propria influenza e arrestare la laicizzazione di fatto della società.

Le scene che mostrano l’intimità notturna di questi nuovi amori sfiorano il porno soft, anche se d’autore. Morbide luci, penombre delicate, eleganti movimenti di macchina da presa, panoramiche e carrelli, che ne danno tutta la densa carica erotica. Slanci di parole, carezze, sospiri, gemiti sensuali che avvolgono le nuove aspettative esistenziali – non solo dei protagonisti – in un’atmosfera calda, levigata, docile ai disegni e ai sogni del desiderio e alle azioni conseguenti della volontà. A spalancare, però, di nuovo le porte ai soffi gelati della realtà è Alyosha. Il ragazzino fugge di casa, proprio mentre i suoi genitori sono tra le nuove braccia e lacci d’amore. Fugge e la polizia non lo ritrova. Viene allarmato il volontariato. Una sua branca, in particolare, quella specializzata proprio nella ricerca dei ragazzi scomparsi di casa.

Le perlustrazioni sono capillari, metodicamente organizzate dalle numerose squadre di volontari. Setacciano posti all’aperto o al chiuso, squallidi, decrepiti, abbandonati attorno alla città, squarciano immagini laceranti sia dell’inverno geografico russo, sia di quello esistenziale universale. Il rovescio del sogno, del paradiso agognato più per freddo calcolo edonistico che per l’autentico calore dei sentimenti umani. Immagini di una forza, di una forma, di una qualità cinematografica dirompenti. Dal precedente esplicito riferimento a Scene di un matrimonio e Sussurri e grida di Ingmar Bergman – il film diventa quasi un thriller, dal ritmo di un action movie che lascia continuamente con il fiato sospeso per la sorte di Alyosha, il ragazzino che fugge dall’amore perduto.

La ricerca del ragazzo smarrito si mostra quale metafora di una ricerca dell’amore perduto da un’intera società, civiltà. Ma è anche metafora del cinema stesso. Il cinema che squarcia il velo della falsità, dell’ipocrisia e, mostrando la vera faccia della realtà, si mette alla ricerca di corpi e anime disperse in una contemporaneità che insegue spietatamente profitto, interesse e successo, a scapito di ogni altro valore umano e bene naturale.

Dopo Il ritorno (Leone d’Oro 2003) e Leviathan (Golden Globe 2014), e tutti gli altri film intermedi, Andrey Zvyagistev mette a segno un’altra decisiva opera del suo grande cinema.

di Riccardo Tavani

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