Caro Gesù Bambino

Fate molta attenzione alle statuine contrassegnate con una lettera B! Non si devono rompere. Sono quelle che la bisnonna maestra portava a scuola per fare il presepe più o meno un secolo fa. Passata la Befana le riportava a casa e le chiudeva in una cassetta di latta in attesa del Natale successivo. Anno scolastico dopo anno scolastico le statuine di gesso hanno perso spigoli di colore, la punta di qualche naso, il ricciolo di un pastorello; c’è una pecora zoppa che non si regge più in piedi, ma il soldato romano stringe ancora nella mano la sua lancia di ferro.

Natale a scuola allora arrivava con la poesia da imparare a memoria, la natività nell’atrio protetta da montagne di carta stropicciata e la neve di farina, la letterina per la famiglia: un foglio piegato a metà, davanti la stella cometa bucata con l’ago, dentro una promessa in bella calligrafia: “saró un bambino migliore”. Natale era la narrazione accurata della Storia di tutte le storie: un bambino povero, un senza tetto, venuto al mondo nella miseria per riscattare le miserie dell’umanità.

“Perchè un bambino è nato per voi, vi è stato dato un figlio, egli sarà Re della Pace”.

Letteratura, canzoni, immagini, poesia: l’attesa, la speranza. Tutto ruotava attorno alla statua di quel bambino eternamente nudo e a braccia aperte, nel gesto del neonato che vuol essere preso in braccio.

Di quel bambino, di quel Re della Pace, non rimangono che vaghi ricordi nelle nostre case e nelle nostre scuole. Perchè la scuola cambia come cambiamo noi: a Civita Castellana -provincia di Viterbo- i genitori di una intera elementare hanno organizzato una giornata di assenza collettiva degli alunni perchè per motivi burocratici non era possibile mettere in scena la recita di Natale (i genitori hanno chiamato l’assenza dei loro 130 bambini “sciopero”, dimostrando scarsa conoscenza dei diritti dei lavoratori oltre che della funzione educativa della scuola e della famiglia).

A Bitonto la recita scolstica di Natale invece si è fatta, ma a dare spettacolo sono state le mamme in platea: una zuffa a suon di schiaffi per un posto a sedere, dimentica dell’immenso portato rivoluzionario non violento della Natività. Siamo uomini nuovi, di una smarrita novità. Abbiamo perso le idee e gli ideali, il senso del mistero e del messaggio evangelico, il rispetto per la miseria. Non sappiamo più gestire l’attesa, nè pensare la speranza, ci siamo incartati in mille dettagli secondari.

Mentre si consumavano falsi scioperi e vere zuffe nel mondo della scuola, mentre nei palazzi del potere affondava lo Jus Soli, che avrebbe consegnato dignità civile a tanti minori innocenti, al Museo degli Uffizi ho incontrato per caso una recita scolastica diversa: una classe di una scuola elementare stava seduta sotto l’Adorazione di Filippino Lippi (1496). L’insegnante che li guidava raccontava loro il Natale del quadro.

Saranno stati venti bambini. Avranno avuto nove anni.

Seduti in terra col naso in su, seguivano la diagonale immaginaria che taglia in due la tela passando per Gesù, Giuseppe e Maria. Pastori e Re Magi, miseria e nobiltà. Col quadro negli occhi, stretta nei suoi pensieri, ho visto un’umanità bambina permeabile, attenta, rivoluzionaria nel suo assorto silenzio, capace di lasciarsi prendere per mano dalla Storia e dare spazio al senso e alla bellezza. Ho pensato alle letterine di Natale che non si scrivono più: “saró un bambino migliore”

Ho guardato i bambini per terra guardare il Bambino del quadro e per un attimo, nella lingua dei piccoli che non si puó sempre scrivere, so che tra loro si sono capiti. Qualcosa si sono promessi, ci scommetterei.

di Daniela Baroncini

Print Friendly, PDF & Email