Guerra e fame

Fa parte della nostra quotidianità affrontare i mille problemi che l’esistenza ci impone. Generalmente raccogliamo dati, valutiamo i pro e i contro e, a quel punto, operiamo una scelta. E’vero che, in alcuni casi, intervengono convenienze e accomodamenti e in altri nascondiamo qualcosa a noi stessi ma, tendenzialmente, un individuo equilibrato tenta di partire da una base di realtà. In caso contrario sa già che ogni sforzo sarebbe non solo inutile ma anche stupido e ingannevole.

Procedere quanto più possibile dai fatti e dai dati, da una lettura onesta delle cose, se è auspicabile per gli individui diventa una modalità non negoziabile se riguarda la cosa pubblica.

Affinché il rapporto eletti/elettori non si trasformi in quello tra dominanti e dominati, i rappresentanti del popolo devono mettere sul piatto, con onestà, i veri termini delle questioni che si vogliono affrontare. Se non lo fanno, oltre che rendere impossibile ogni soluzione, tradiscono il rapporto di fiducia.

 Il problema del nostro tempo sembra essere quello delle migrazioni. In realtà, guerre, carestie e migrazioni sono le questioni di tutti i tempi. E da sempre sono legate tra loro.

Quante volte, nel discorso pubblico, è venuto alla luce che lo scorso anno, in 51 diversi paesi, ben 124 milioni di persone hanno sofferto di insicurezza alimentare, cioè di un livello di denutrizione tanto severo da metterne a rischio la vita? E che si tratta un dato in crescita?

In un anno, infatti, rivela il Global Report on Food Crises 2018, il rapporto sulle situazioni di crisi alimentare voluto dalla Commissione Europea, il numero delle persone che patiscono la fame è cresciuto di ben 11 milioni.

Quante volte avete sentito dibattiti accalorati sulle cause dell’aggravarsi della situazione. Ad esempio sulla natura e le conseguenze dei conflitti e dell’instabilità politica in paesi come il Myanmar, la Nigeria nord-orientale, la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan e lo Yemen? Oppure sui prolungati periodi di siccità che hanno colpito l’Africa orientale e quella meridionale con il conseguente crollo dei raccolti in paesi che già soffrivano di insicurezza alimentare e di malnutrizione?

Eppure i conflitti sono responsabili del 60% dei casi di insicurezza alimentare in 18 paesi, di cui 15 in Africa, e hanno coinvolto 74 milioni di persone mentre le siccità hanno causato crisi in 23 paesi, 15 dei quali in Africa, e hanno portato alla fame oltre 39 milioni di persone. Non bastassero i conflitti e i disastri climatici un ruolo viene giocato anche dalla speculazione e dai suoi effetti sui prezzi degli alimenti fondamentali.

E potrebbe andar peggio perché tutto lascia prevedere che i conflitti peggioreranno la crisi alimentare in paesi come l’Afghanistan, la Repubblica Centrafricana, il Nord Est della Nigeria, la Repubblica Democratica del Congo, la regione del Lago Chad, il Sud Sudan, la Siria, la Libia, il Mali e il Niger. Addirittura catastrofiche sono le previsioni per lo Yemen, soprattutto a causa delle difficoltà di accesso, del collasso economico e dell’insorgenza di malattie. Negative anche le prospettive per l’impatto delle condizioni climatiche sui raccolti e sull’allevamento in zone pastorali della Somalia, dell’Etiopia sud-orientale, del Kenya orientale, così come in Africa Occidentale e nel Sahel, inclusi Senegal, Chad, Niger, Mali, Mauritania e Burkina Faso.

Ora, conflitti, siccità, fame non vi sembrano sono motivi sufficienti per aver paura? Oggi, nel mondo, ci sono oltre un miliardo di profughi di cui solo una piccolissima minoranza arriva alle nostre latitudini. La stragrande maggioranza di quest’umanità si sposta all’interno del paese natale o, al massimo, in quelli confinanti.

Se questo è il quadro, eccoci allora davanti ad uno dei corni della questione che domina il nostro discorso pubblico: 124 milioni di persone rischiano la morte per fame e alcune di loro cercano un futuro in Europa.

L’altro è che i conflitti, che portano alla fame e quindi alle migrazioni, sono combattute con le nostre armi, che le maggiori responsabilità nei cambiamenti climatici non si originano nei paesi affamati e che la speculazione è operata dai nostri mercati.

Inutile girarci intorno. Se i governanti non partono da qui, se mentono sulle cause, che credibilità possiamo mai concedergli quando affermano di lavorare per risolvere i problemi?

Nella politica novecentesca le scelte si fondavano su solido impianto ideale, di destra o di sinistra, che nel bene o nel male costituiva un ancoraggio, un punto di riferimento nel giudizio.

Oggi, tutte le parti politiche menano vanto per essersi liberate da questi retaggi. Allora il nostro giudizio, libero da fedi di partito o movimento oramai assolutamente fuori contesto, deve poggiare solo sulle decisioni e sulle azioni messe in campo.

E allora, per quello che vale, considero le scelte del governo Salvini-Di Maio ingannevoli, inumane e inutili.

di Enrico Ceci

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