Upon entry – L’arrivo

Bisogna guardare questo film per capire le mille reti invisibili che imprigionano il nostro mondo. Quello che può apparire il racconto di una distopia concentrazionaria su un nostro possibile futuro, èinvece l’allucinata, eppure esatta cronologia, istante per istante, del nostro presente. Fondandola su esperienze concrete da loro stessi vissute, gli autori  e registi Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez portano tale cronologia sullo schermo proprio per svelare questo lato nascosto, invisibile, eppure reale, sconvolgente, contundente per chi vi dovesse incappare viaggiando nel mondo apparentemente libero.

Elena e Diego sbarcano a New York con un aereo proveniente da Barcellona. Lui è un urbanista venezuelano, lei una ballerina e maestra catalana di danza contemporanea. Si stanno trasferendo a vivere negli States, a Miami per la precisione, dove lui ha delle possibilità di lavoro nel suo settore. Lei ha vinto la Green Card, ossia  l’annuale lotteria che gli Usa mettono in palio in varie nazioni del mondo per ottenere la loro cittadinanza. Nonostante abbiano tutti i documenti più che in regola, sono fermati al primo controllo e condotti a quello che si chiama secondo livello di verifica, ossia un ufficio interno all’aeroporto della polizia di frontiera. Hanno la coincidenza del volo per Miami dopo un paio d’ore, ma vorrebbero avere anche il tempo per uscire un attimo dallo scalo ad abbracciare il fratello di Diego che già li sta aspettando là fuori.

Inizia una vicenda serrata. Serrata nella sua scansione temporale, nel suo avvitarsi dentro gironi,  livelli di verifica sempre più profondi, invasivi, lesivi di ogni diritto e dignità personale che pure non una dittatura, ma la più grande e libera democrazia del mondo ha nel fondamento dei propri inviolabili valori umani. Serrata, in secondo luogo, perché ci viene mostrata la dimensione invisibile delle stanze chiuse, remotamente serrate, segrete. Una dimensione della civiltà, di qualsiasi potere, di cui non si sospetta neanche l’esistenza, finché per qualche motivo non ci si va ad urtare addosso. In queste camere, tra queste quattro pareti senza fuori, senza finestre ognuno di noi è nudo, spogliato persino della propria pelle, nel senso del pur minimo velo di rispetto e protezione, in totale balia del capriccio di fanatici funzionari della crudeltà amministrativa.

Serrata, in terzo luogo, anche per la recitazione di attrici e attori. Non solo dei due protagonisti, nell’interpretazione sensibilissima di Bruna Cusì e Alberto Ammann, ma di tutto il cast, che davvero già di per sé si svela quale contenuto di verità,  di autenticità dell’opera. Una manciata di interpreti tutti potentemente credibili e ineccepibili, dalle parti minori di ogni singolo agente, fino alla sottile spietatezza dei due micidiali inquisitori antagonisti Laura Gómez e Ben Temple.

Una nota di merito particolare va spesa per ExitMedia, la casa di distribuzione del film. I due titolari, la catalana Iris Martin Peralta e l’italo-argentino Federico Sartori, hanno anche fondato e gestiscono da anni lo storico Festival del cine español y latinoamericano. Una rassegna itinerante lungo tutta la penisola italiana, isole comprese, che seleziona ogni anno le migliori opere e anche classici in lingua spagnola, permettendo al pubblico di incontrare sempre ospiti di grande prestigio. Tra questa alta selezione, poi loro scelgono i film di più grande qualità artistica e li distribuiscono attraverso la loro ExitMedia. Spesso dei veri e propri capolavori cinematografici, come l’immenso Trenque Laquen, una produzione argentino-tedesca, autrice e regista Laura Citarella, la quale agisce però attraverso un vero e proprio collettivo di cineasti compatto e distribuito in tutti i diversi ruolidel set.

Riccardo Tavani

 

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