Placido Rizzotto: dalla scomparsa nel 1948 ai funerali di Stato nel 2012.

Dalla sua scomparsa il 10 marzo 1948 ai funerali di Stato, svoltisi il 24 maggio 2012, sono passati sessantaquattro anni: anni di indagini, di processi, anni di assoluzioni e di ricerche; anni in cui una verità nota a tutti non ha trovato riscontri oggettivi sufficienti ad emettere condanne. Corleonese, trentaquattro anni, Placido Rizzotto era un personaggio scomodo insinuatosi in un tessuto sociale totalmente assoggettato alla mafia; scuotendo le coscienze, incitando alla rivolta, ha rappresentato un grave pericolo per la supremazia di Cosa Nostra.

Con il popolo affamato dalla seconda guerra mondiale appena conclusasi e il monopolio latifondistico dei boss, il seme della rivolta piantato dal sindacalista ex partigiano non poteva che germogliare, trovando largo accoglimento tra i contadini della zona, che iniziarono a rivendicare i propri diritti sfilando per le vie dei paesi al grido di “terra per tutti”. Placido Rizzotto, infatti, combatteva la propria guerra cercando di sottrarre alla mafia terreni da poter ridistribuire al popolo. Corleone, a quell’epoca, era sotto il controllo di Michele Navarra, “don” e dottore senza scrupoli, che con Placido aveva diversi conti da saldare; da un lato temeva che il sindacalista trascinasse il popolo in una guerra inarrestabile, dall’altro non gli aveva mai perdonato un affronto inaudito: perennemente a caccia di titoli, Navarra aveva chiesto di diventare socio onorario della sezione reduci e combattenti di cui Rizzotto era segretario, ottenendo un secco rifiuto poiché né reduce né tantomeno combattente. Uno di quei personaggi che la mafia non poteva tollerare.

In una Corleone che avrebbe visto di lì a poco l’iniziazione di boss del calibro di Totò Riina un giovane poco più che ventenne, Luciano Liggio, ansioso di emergere nella dirigenza mafiosa, intravide in Placido l’opportunità di entrare nelle grazie di don Michele. La sera del 10 marzo 1948 Giuseppe Letizia, pastorello di appena tredici anni, rincasarono dalla montagna sconvolto e delirante, raccontando di aver visto alcuni uomini gettare un altro uomo incatenato giù per un dirupo, e di averne udite le urla. In preda ad una crisi isterica fu condotto in ospedale, dove trovò ad attenderlo il dottor Navarra il quale, non appena intuito che il ragazzo rappresentasse un testimone scomodo, pensò bene di liberarsene iniettando una dose di “calmante” che si rivelò essere veleno. Al medico che firmò il certificato di “morte per tossicosi”, non rimase che chiudere lo studio e scappare in Australia non appena resosi conto del guaio in cui si era cacciato, ma il suo referto aveva già sortito effetto: i carabinieri, capitanati da un giovane Carlo Alberto Dalla Chiesa, insospettitisi ordinarono un’autopsia del ragazzo. Le indagini portarono all’arresto di Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che confessarono, salvo poi ritrattare durante il processo, di aver preso parte all’omicidio di Placido Rizzotto assieme a Luciano Liggio, latitante fino al 1964, anno in cui fu ritrovato nell’ultimo posto in cui ci si sarebbe aspettati di trovarlo: nell’abitazione di Leoluchina Sorisi, ex compagna di vita e di battaglie di Placido.

Corleone sperimentò così la così detta “lupara bianca”, omicidi caratterizzati dall’occultamento di cadavere: in assenza di una vittima non è possibile procedere con l’incriminazione per omicidio. L’impossibilità di dimostrare con certezza che i resti ritrovati nelle foibe di Rocca Busambra appartenessero proprio a placido Rizzotto e le confessioni ritrattate in sede processuale scagionarono i tre “per insufficienza di prove”; Luciano Liggio, divenuto oramai un boss, liquidò Michele Navarra, e assunse il controllo del territorio. Solo nel 2012, grazie ad un esame comparativo tra il DNA dei resti recuperati e quello estratto dalla salma del papà di Placido Rizzotto, è stato possibile stabilire con una certezza del 76% che quelli fossero effettivamente i resti del sindacalista scomparso, che ha così potuto avere il funerale di Stato a sessantaquattro anni dalla sua scomparsa. Luciano Liggio, Vincenzo Collura e Pasquale Criscione furono assolti; nonostante ciò la giustizia è andata avanti, dissipando definitivamente il velo di mistero avvolto attorno alla scomparsa di Placido Rizzotto, e restituendo alla sua famiglia almeno la possibilità di dare a Placido una degna sepoltura.

dai Leandra Gallinella