Quel che ci lascia Davide Astori
Parlando con un tifoso della Fiesole, cuore del tifo fiorentino all’Artemio Franchi, mi si stampa davanti agli occhi un’immagine semplice e bellissima di Davide Astori: guardando il campo dalla Curva, capitan Astori era l’ultimo uomo a difesa della porta. Lo vedevi allargare le braccia, nell’atteggiamenti tipico di chi, da difensore centrale, tiene in ordine la linea di retroguardia e spinge in avanti la squadra. Era l’ultimo baluardo, la colonna portante, il limite invalicabile.
Davide Astori, capitano della Fiorentina e difensore della nazionale italiana, è morto lo scorso 4 marzo. Un infarto lo ha portato via nel sonno, mentre alloggiava in un albergo di Udine insieme alla sua squadra. Lascia una moglie e una figlia di quattro anni. Il mondo del calcio si è fermato tutto. Dall’Italia alla Spagna, passando per l’Inghilterra, la Francia, i campionati minori. Una tragedia umana, oltre che sportiva, che colpisce come un fulmine quel cielo sereno che sembra essere il mondo dello sport. Atleti controllati, campioni milionari, uomini indistruttibili.
Davide Astori non era uno da prima pagina, da instagram o televisione. Bergamasco, 31 anni, cresciuto nelle giovanili del Milan, un passato al Cagliari, alla Roma e il definitivo salto di qualità alla Fiorentina. Qui aveva trovato il suo ambiente. Sportivo innanzitutto: capitano di una squadra smantellata e riconvertita, pietra fondante di un nuovo progetto tecnico. A Firenze ha trovato il suo mondo. Un’immagine, ancora, lo descrive meglio di qualsiasi parola: lui, in giro per il centro storico, a spingere il passeggino della figlia. Astori era uno semplice, un calciatore con interessi per il design e la filosofia orientale, era forse anche l’anti-eroe. Perchè in un mondo dove vince chi urla, parlava piano. Dove si deve strillare in pubblico, lui spronava in disparte. Dove si protesta, si litiga, si insulta, Astori non rispondeva.
Nel buio però c’è un bagliore di luce. Nella pioggia, che ha avvolto Firenze in questi giorni, quasi lacrime del cielo, c’è un lampo di sole. Perchè la vicenda di Astori ci serve ad abbassare i toni, a riflettere, a rispettare. L’ultimo regalo che Astori ha fatto ai suoi tifosi è un abbraccio. In piazza Santa Croce, il giorno dei funerali, è avvenuto un miracolo semplice. Giorgio Chiellini, calciatore di quella Juventus odiata dai viola, piangeva tra le braccia di un ultras della Fiesole. E non è retorica e nemmeno cercare il poetico in tutto quanto. L’eredità di Astori è questa e noi non possiamo disperderla.
Astori ci lascia con un abbraccio. Perchè a guardare il campo, quelle braccia aperte possono servire solo a spostare il fuorigioco, a portare in alto la squadra, a tenere i terzini in linea. Ma le braccia aperte, a volte, possono servire anche per un abbraccio.
di Lamberto Rinaldi