Peppino Impastato: il giovane giornalista di Cinisi che si era opposto alla mafia.

Un eroe come pochi. Coraggiosissimo indimenticabile Peppino. Grande uomo Impastato come tutti coloro che sono morti per cercare di porre fine a tutte le mafie. Come tutti quei giornalisti uccisi per aver fatto il loro mestiere, ammazzati solo per aver raccontato storie che danno fastidio ai potenti e ai criminali.

Chi era Peppino Impastato. Peppino, un giovane di trent’anni con barba, baffi e capelli lunghi, un militante della sinistra extraparlamentare, candidato di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, un ribelle che il padre mafioso aveva ripudiato. Giuseppe Impastato nacque a Cinisi (Palermo) il 5 gennaio 1948 in una famiglia mafiosa. La madre, Felicia Bartolotta, mostrò sempre ostilità nei confronti delle attività del marito. Difende Peppino dal padre, che lo caccia di casa. Il ragazzo, allora quindicenne, entrò in forte contrasto con il padre che lo allontanò da casa. Peppino cresce e si impegna in politica, si schiera contro la mafia.

Nel 1965 fondò il giornalino “L’idea socialista”, in cui prese posizione con un duro articolo contro la mafia che la madre, preoccupata per le conseguenze, lo scongiurò di non pubblicare. Felicia, da madre, prova a difendere suo figlio dai rischi che si prende. Prova a convincerlo a lasciar perdere, ha timore per quello che gli potrebbe accadere. Nella vita di Felicia in poco tempo cambia tutto. Se lo sente, Felicia, che ormai ha capito tutto. Accade il 9 maggio 1978. Quell’orribile 9 maggio alle prime luci dell’alba. Avevano messo a tacere l’attivista politico e giornalista siciliano.

Nel 1977 fondò “Radio Aut”, radio libera e autofinanziata, con cui denunciava i delitti e gli sporchi affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, boss di uno degli storici clan siciliani. Uno che ai microfoni della radio, non andava tanto per il sottile nei confronti dei potenti, prendeva in giro i mafiosi e i politici, criticando e denunciando con sferzante ironia le attività degli uomini di mafia e dei politici locali che riteneva collusi. Si era speso in prima persona, Peppino, come era noto nella sua terra, per denunciare la criminalità dai microfoni di “Radio Aut”, a Cinisi.

Nella notte tra l’8 e il 9 maggio venne assassinato. La mafia siciliana aveva ucciso il giornalista noto per la sua battaglia contro il boss “Tano” Badalamenti. La sua morte fu frettolosamente archiviata come suicidio avvenuto nel corso di un attentato terroristico. Era stata infatti organizzata una messa in scena e il suo corpo era stato fatto saltare con un carico di tritolo sui binari della ferrovia Trapani – Palermo. Il treno aveva rischiato di deragliare. Il macchinista chiama i carabinieri che ritrovano brandelli di corpo umano sopra i binari e sparsi tutt’intorno. Qualcuno era saltato in aria per una bomba (cinque chili di tritolo), dilaniato dall’esplosione, ma nessuno ha sentito niente. I poveri resti vengono raccolti e portati via dagli investigatori dentro tre sacchetti di plastica. Si saprà quasi subito che appartengono a Giuseppe Impastato, detto Peppino, giornalista e conduttore di Radio Aut, l’emittente libera di Cinisi, il paese in cui abita il boss di Cosa Nostra, don “Tano” Badalamenti, che risulterà direttamente coinvolto nell’inchiesta giudiziaria sul traffico di droga tra la Sicilia e l’America denominata “Pizza connection”.

Gli uomini delle cosche lo uccisero inscenando il suo suicidio e solo anni dopo venne riconosciuta la loro responsabilità. Lo uccisero nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. Lo picchiarono a morte in un casolare a Cinisi, provincia di Palermo, e, già morto, legarono il suo corpo ai binari della ferrovia Trapani – Palermo, insieme a una carica di tritolo: volevano far pensare ad un atto terroristico.

Grazie all’impegno e alla tenacia della madre Felicia e del fratello Giovanni, nel 1984 fu riconosciuta la matrice mafiosa dell’omicidio. Felicia che non ha più niente da perdere, nemmeno un figlio, lo deve difendere. Suo figlio non era un terrorista. Al processo accusa Badalamenti di essere il mandante dell’omicidio di suo figlio. Una madre coraggio, perché Felicia portava con sé il dolore più grande per una donna, quello di vedere ucciso un figlio. Badalamenti fu indicato come il mandante dell’omicidio, successivamente estradato dagli Stati Uniti e condannato all’ergastolo.

Grazie all’incessante ricerca della verità di sua madre, Felicia, è stata fatta luce sulla morte di Peppino Impastato, il giovane giornalista di Cinisi che si era opposto alla mafia. La fierezza di una madre per un figlio che si è battuto per le proprie idee. La fierezza di una battaglia per la giustizia e la verità. Nato in una famiglia che faceva parte del sistema mafioso locale, che aveva tentato di scardinare durante la sua breve vita, mediante una lotta condotta con iniziative pubbliche, sociali a sostegno della legalità.

Peppino Impastato è rimasto il simbolo della lotta alla mafia. Negli anni la sua figura continua ad essere un punto di riferimento. A quarant’anni dalla sua morte la sua voce è la voce di chi spera ancora e si impegna per la giustizia e la libertà.

di Maria De Laurentiis