Dal compromesso storico al contratto a ore

Il secolo che si è chiuso ormai già da un ventennio ha lasciato in eredità a quello nuovo una struttura politica profonda. Tale struttura si chiama compromesso storico. Il fatto che il nuovo secolo inauguri anche il nuovo millennio non riesce minimamente a intaccare e ad archiviare tale lascito del passato. Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, per la Dc e il Pci, non furono tanto gli ideatori di tale disegno strategico, quanto i sismografi sensibili di uno spostamento geologico nel sottosuolo della politica già da tempo in atto. Il crollo dell’Unione Sovietica e del Muro di Berlino sarebbero stati di lì a poco gli effetti più evidenti in superficie del moto di tale faglia continentale. Il rotolare impetuoso giù dall’orizzonte temporale di una sfera tecno-scientifica segna l’inizio del tramonto della classica era dominata dalla politica. Politica come regolatrice di ogni altra sfera. Anche la cosiddetta scienza triste assumeva una sua funzione in quanto politica economica o economia politica. Oggi l’economia è direttamente turbo, tecno-mediatica, elettronica. Moro e Berlinguer sentono, intuiscono che è la sfera politica in quanto tale, nella sua interezza, e non tanto nelle sue contrapposizioni interne, ideologiche, strategiche, tattiche a doversi consolidare per resistere all’onda d’urto in arrivo. D’altronde anche il disastroso cinquantennio bellico e nazi-fascista europeo fu chiuso in Italia attraverso quell’epocale accordo pattizio sancito con la promulgazione della nostra Costituzione il 1° gennaio 1948.

Che il tentativo moroteo-berlingueriano non sia riuscito e abbia avuto anzi anche esiti tragici per i due protagonisti, soprattutto per Moro, non scalfisce minimamente la necessità non meramente soggettiva, volontaristica ma appunto epocale, strutturale di quell’assioma. Il compromesso storico striscia ancora oggi sotto la pelle del presente, si inabissa nel sottosuolo, riemerge anche se sotto sembianze e aspetti deformati. E anche con facce e maschere che sono più da cabaret del Bagaglino che da grande cinema e teatro epico contemporaneo: questo testimonia, però, proprio lo stato di avanzata decomposizione della sfera politica, inclusa la sua dimensione democratica. Lo abbiamo visto con i ripetuti tentativi – tuttora in atto – tra Renzi e Berlusconi, passando per Verdini, riassumibili sotto la dizione Patto del Nazareno.

Dove però il compromesso storico ha assunto una maggiore grandezza di scala ma anche una maggiore irriconoscibilità è proprio nel Movimento 5 Stelle. Anzi, tale formazione è la più logica, coerente e piena scaturigine di quell’assioma. Lo è, perché è proprio in nome dell’era, del futuro, ora già completamente in atto – come dice Grillo nel suo blog –, che tale formazione chiede agli italiani di destra, di centro e di sinistra di rinunciare alle proprie provenienze e di unirsi attorno a un nuovo patto storico-epocale. Il M5S è la coniugazione attuale – e già oltre gli schemi e i linguaggi della vecchia stagione politica – di un poderoso tentativo di compromesso storico endogeno, ossia interno a sé stesso. Tutto il compromesso possibile compresso dentro più gli algoritmi della Casaleggio&Associati che il residuale, ma ancora necessario fraseggio di leader quali Di Maio e Di Battista.

Così che ora il disegno, rimasto non perfettamente compiuto per via endogena, tenti la via esogena, esterna, non deve affatto stupire. È la struttura cronologicamente lunga del compromesso storico che impone la legge inesorabile e inaggirabile della sua necessità. Possono chiamarlo contratto ad hoc, a termine, a ore, come vogliono, ma questo è. E anche la destra sovranista, xenofoba, identitaria della Lega alla fine deve piegarsi alla “dura lex sed lex” dell’eredità compromissoria.

Ci sono delle differenze e delle tensioni, però, tra i due contraenti il crono-contratto. Il compromesso per via endogena nelle intenzioni algoritmiche di Grillo dovrebbe essere più al servizio della tecno-era che di quella veterotestamentaria della politica. La via politica è solo un mezzo, uno strumento, un attrezzo: residuale per quanto ancora da sopportare, perché necessario alla transizione. Il fine, lo scopo è il paradiso tecnologico prossimo venturo. E questo a parte l’inadeguatezza, l’inconsapevolezza dello stesso Elevato (il nuovo nome che si è scelto Beppe) della reale portata, del vero scontro in gioco sotteso a questa inedita meta storica. Il centro-destra italiano non si è mai propagandisticamente connotato per l’avvento di una così avvolgente, risolutiva dimensione tecno-futurista. Gli stessi piani di ammodernamento economico e infrastrutturale di Berlusconi sono rimasti perlopiù immobili sulle lavagne e i grafici di Porta a Porta. Semmai quei piani, come quelli edilizi ripresi dal Cavaliere nell’ultima campagna elettorale, prevedono pratiche di distruzione ambientale, altro consumo di suolo, senza più limiti e leggi restrittive, ma al solo fine di famelici rilanci del profitto privato.

Ecco, Grillo proprio questo dovrebbe mettere al primo punto della sua agenda-setting: la via al futuro tecno-scientifico è sbarrata da quella all’ammodernamento del vecchio apparato industriale, economico ai fini del potenziamento e dunque della sopravvivenza ideologica del profitto privato capitalistico a ogni costo. Anche al costo della ulteriore e non più tollerabile distruzione planetaria.

Naturalmente c’è anche una voglia generazionale da parte dei due leader di M5S e Lega di assumere cariche di governo per staccare una differenza dai predecessori della seconda repubblica, ma questo non cancella le diverse direzioni, tensioni e intenzioni strategiche che li animano. Può darsi che ognuna delle due forze pensi di avere la forza di sfidare l’altra per portarla dentro la scia della propria corrente direzionale, o di usarla ai propri fini. Chi usa chi? Il rischio più realistico, però, è che dal compromesso storico al contratto a ore si torni a un sordido patto partitocratico o s-partitocratico. Ed è proprio verso il ritorno al futuro di questa atavica soglia del potere italiano che gli elevati algoritmi penta-stellati stanno rischiando di affondare il passo e sprofondare ad horas, a momenti, con tutta la loro affabulatoria promessa di futuro.

 

di Riccardo Tavani