L’ora della verità per Erdogan

La tendenza globale è chiara. Il modello più gettonato, anche se non proprio innovativo, è quello del sovranismo e dell’uomo forte. Poi però, come spesso accade, è l’economia ad indirizzare le decisioni. In particolare quando le cose vanno male come nel caso della Turchia, che ha visto crollare la sua lira, moneta già storicamente instabile. Il tonfo non è bastato per cambiare il tono di Erdogan rimasto sprezzante e aggressivo. Ha parlato di complotto della ‘lobby dei tassi d’interesse’ e di ‘guerra economica’. Al fine di evitare attacchi speculativi, le autorità turche hanno iniziato ad indagare decine di persone accusate di minacciare la sicurezza nazionale. Tra i primi accusati dal presidente ci sono gli Usa che hanno agito da detonatore della crisi. Il tonfo verticale è avvenuto dopo che Trump ha annunciato via Twitter di aver raddoppiato i dazi sull’alluminio e l’acciaio provenienti dalla Turchia.

La lira ha toccato quota 7 al cambio con il dollaro, perdendo circa il 40% del suo valore da gennaio. Con un inflazione al 15% la situazione è diventata esplosiva. Se le misure americane hanno accellerato la crisi, le ragioni reali erano già presenti e ampiamente conosciute dagli analisti. Un paese profondamente indebitato con le aziende che hanno potuto contare per anni su facili prestiti dall’estero. La Turchia ha, infatti, accumulato quelli che vengono chiamati in gergo deficit gemelli: disavanzo sia pubblico che delle partite correnti, cioè nei confronti dell’estero. Quando il largo afflusso di capitali esteri su cui la Turchia aveva basato la sua crescita e che aveva trainato gli investimenti si è interrotto, sono arrivati i guai. La perdità di fiducia dei mercati ha fatto crollare la moneta e più questa perde valore più sarà difficile ripagare il prestito. Il cuore della questione sta proprio qui: il debito è denominato in valuta estera. La situazione rischia ora di aggravarsi ulteriormente se il paese dovesse assistere ad una fuga degli investimenti stranieri. Se non ci saranno misure efficaci molte aziende non potranno ripagare i debiti e dovranno dichiarare bancarotta.
Il crollo ha subito scosso i mercati mondiali che hanno chiuso in negativo. Il pericolo maggiore di contagio riguarda le economie emergenti che di solito si muovono in sincrono. Molte di questi hanno effettivamente preso pesantemente a prestito in dollari quando i tassi in Usa erano vicini allo zero. Adesso che il dollaro si è rinforzato e la Fed sta alzando i tassi potrebbero crearsi situazioni pericolose. Gli analisti sono convinti, però, della unicità del caso turco. Molti dei paesi emergenti dopo aver fatto esperienza delle crisi finanziarie degli anni ’90 si sono dotati di sufficienti riserve valutarie in modo da poter fronteggiare situazioni come quella attuale. Hanno perciò condizioni più solide rispetto a quella della Turchia che ha anche un problema prettamente interno. Erdogan ha di fatto il monopolio sulle scelte economiche. La banca centrale vede messa a rischio la proprio indipendenza ed il ministro delle Finanze, appena nominato, è addirittura suo genero. In momenti in cui occorre prendere decisioni delicate Erdogan non sembra garantire la giusta dose di lungimiranza.
Anche l’Italia ha subito forti ripercussioni sul mercato. Lo spread ha raggiunto il picco più alto dall’insediamento del governo ed ha subito le perdite maggiori nell’area euro. Unicredit è tra le banche maggiormente coinvolte anche se le più esposte sono quelle francesi e spagnole. Non è da sottovalutare la situazione in particolare in presenza di una crescita fragile e di tensioni commerciali globali.

Oltre ai problemi prettamente economici, la Turchia deve fronteggiare una situazione di ambiguità geopolitica, essendo un paese strategico nella Nato e contemporaneamente sempre più vicino alla Russia e all’Iran. Le tensioni sono cresciute, in particolare, con gli Stati Uniti per la detenzione di Andrew Brunson, pastore evangelico vicino a gruppi politici e accusato di spionaggio. Gli americani ospitano d’altro canto Fethullah Gulen accusato di aver organizzato il fallito golpe del 2016. Lo scontro ha portato negli ultimi giorni alla storica decisione di Trump di sanzionare due ministri del governo turco coinvolti nella vicenda del pastore americano.

Con un contesto così complicato, difficilmente Erdogan potrà continuare a far finta di niente. Se la lira non bloccherà la sua caduta diventerà necessario alzare i tassi o attuare un controllo temporaneo del capitale, cercando di scongiurare un ricorso al Fondo Monetario Internazionale che potrebbe essere un fallimento troppo pesante per un presidente che fa della forza la sua arma principale.

di Pierfrancesco Zinilli

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