“Nella voce di Aretha c’è la storia dei neri d’America”: addio alla Regina del Soul

Al 406 di Lucy Avenue, Memphis, Tennessee, il 25 marzo 1942 nasce Arteha Franklin, passata alla storia come “Lady Soul”. La prima donna a guadagnarsi un posto nel Rock and Roll Hall of  Fame nel 1987. L’autrice del doppio live di musica Gospel più venduto: “Amazing Grace”. Ben 2 milioni di copie in tutto il mondo. Quattro figli, due sorelle, 21 Grammy Awards, di cui otto consecutivi, dal 1968 al 1975, tanto che il premio fu ribattezzato in quegli anni “The Aretha Award”. Classificata dalla rivista “Rolling Stones”, nel 2010, come la prima solista tra i 100 più influenti nella storia della musica. 

Il padre, Clarence La Vaugh Franklin, predicatore battista e la madre, Barbara, cantante gospel, saranno figure determinanti nella vita di Aretha: dopo il divorzio dei genitori, quando la Franklin ha 6 anni, la famiglia si trasferisce a Detroit dove poi la cantante rimarrà per il resto della vita. Qui muove i primi passi nel mondo della musica, tra pianoforte e cori gospel. A 14 anni diventa madre e ha 16 ha il secondo figlio: il marito, Teddy White, sposato nel 1961, è un uomo violento e dopo sette anni il matrimonio naufraga. La spirale di violenza porterà la Franklin ad abusare di alcol per un periodo: nonostante la giovane età e le molte difficoltà, Aretha rimane determinata a diventare una cantante professionista. 

Negli anni 50 incide i primi 5 cinque dischi, ma il vero successo arriva negli anni 60, quando Aretha  crea i suoi migliori 45 giri. Il 1967 è l’anno della svolta: la Franklin inizia a collaborare con l’Atlantic Records, nota etichetta discografica con cui pubblica “I never loved a man (the way I love you)”. Aretha spiegò così il suo exploit musicale: “Alla Atlantic mi fecero sedere al piano e il successo arrivò”. Da lì ogni nuova uscita è destinata a entrare nella storia: “You make me feel a natural woman”; “Think”; “Respect”, eletto quest’ultimo inno dei movimenti femministi e per i diritti civili, sebbene per la Franklin era “più una canzone sul confronto uomo e donna”. 

Arrivata all’apice, negli anni 70 Arteha ha conosciuto un declino commerciale, per poi riprendersi negli anni 80, quando inizia la collaborazione in un film con i Blues Brothers, accanto ai quali canta in grembiule da barista “Think”. 

Famosa è la sua paura per l’aereo: fu persino denunciata per aver disatteso gli accordi e non aver preso parte ad un musical a Broadway, “Sing, Mahalia, sing”. Nel 1998 ai Grammy sostituisce Pavarotti, colpito da un malore e improvvisa “Nessun dorma” (cantando la prima strofa in italiano, così come il famoso “all’alba vincerò”): ad oggi è considerata ancora una delle sue migliori interpretazioni. Il 20 gennaio 2009 fu scelta come la voce per la cerimonia di insediamento del 44° presidente americano, Barack Obama, per cui cantò in diretta mondiale. Il 29 gennaio 2015 fece commuovere l’ex presidente americano cantando “You make feel a natural woman”. Fu proprio in quella occasione che Obama vide la storia del suo popolo nelle corde vocali della leggenda Franklin: “C’è il nostro potere e il nostro dolore, il nostro buio e la nostra luce”. Forse perché l’America che ha glorificato l’Aretha del successo, quando ancora non era nessuno le ha riservato il trattamento che hanno ricevuto tutti i neri, seppur americani a pari merito: “Ci costringevano a mangiare nel retro dei ristoranti – dichiarò la stessa cantante – e se dovevamo andare in bagno c’era la stazione di servizio”.

Se ne è andata il 16 agosto a 76 anni, a causa di un cancro, lottando proprio come ha sempre fatto nella sua vita: “ironia” del caso, lo stesso giorno, del 1977, in cui morì Elvis Presley. 

di Irene Tinero