Nave in vista

La  nave dei respinti dove la morte ha rapito due vite, una mamma e un bimbo mai nato.

Entrare dentro a questa storia è come entrare dentro una galleria di specchi. La realtà si allunga, si distorce, si riflette e si vede al contrario di come si dovrebbe vedere. Entrare dentro questa storia fa sentir male, fa stringere lo stomaco, fa digrignare i denti per la rabbia, ci rende impotenti, dimostra tutta l’ipocrisia del genere umano.

Questa storia è una storia di migranti, di un comandante di una nave cargo e di governi, anzi di uomini di governo. È la storia di una nave rifiutata, di una nave con un carico che nessuno vuole. Un carico di merce diverso, un carico di merce umana. Migranti, partiti da dove vivere è difficile, invece morire è quotidiano. Migranti attratti da una vita complicata si, ma migliore di quella che si fa rimanendo nella loro terra.

Migranti. Questa storia inizia dal loro paese. Sopravvivere è avere coraggio e la pazienza di aspettare il giorno di un imbarco clandestino, pagato ogni oltre misura, ma che ti permette di avere una vita, difficile ma pur sempre una vita. Loro sono in 140 e sono partiti verso la vita, su barconi anzi su carrette che sfidano le onde del mare, scricchiolando alla minima onda che si infrange sulle loro fiancate. Carrette traghettatrici di migranti, nell’infinito e nell’inferno del mare. Stipati dentro la loro pancia come sardine in scatola, respirando l’aria salmastra mischiata al sudore, un odore che non si scorda. Un fetore che ricorda la morte. Tra loro c’è Escet Ekos ha 18 anni, viene dalla Nigeria. È incinta, lei forse l’odore lo sente meno, ha gli occhi pieni di speranza per lei e per il suo bimbo.

La nave, è un cargo. Si chiama Pinar. Il comandate è turco. Anche lui trasporta merce, la sua nave però ha un’altra urgenza, deve consegnare nei tempi che il suo armatore ha previsto. La Pinar ha una rotta. La rotta è il percorso che ogni nave deve seguire. La Pinar segue la sua. Il comandante turco naviga sicuro, il suo cargo procede tranquillo nelle acque del mediterraneo, tra l’isola di Malta e l’isola di Lampedusa.  Ma qualcosa va storto i barconi non ce la fanno a tenere. Sono in balia del mare, nel canale di Sicilia, vicini alla rotta della Pinar. Sale l’angoscia per i 140 migranti che qualcuno chiama clandestini. Forse perché viaggiano su un mezzo di trasporto senza averne diritto. Ma loro il diritto ce l’hanno, loro hanno pagato. Qualcuno ha preso i soldi, qualcuno guadagna con le loro sofferenze, qualcuno senza scrupoli trasforma i clandestini in migranti. I soldi possono. Possono anche se la certezza di sbarcare vivo non c’è. Il comandante del cargo li vede, è indeciso, lui deve seguire la sua rotta, deviare per soccorrerli comporta un ritardo e l’armatore non gradisce. Il profitto sopra la vita. È questa l’incertezza che ha il comandante, Asik Tuycun. Deviare la rotta e salvare questa povera gente o far finta di niente e proseguire. Dopo tutto tante altre navi lo fanno. Asik Tuycun invece non lo fa, devia. Abbandona la rotta va verso i barconi e tira a bordo i 140 poveracci. Li tira su tutti compresa Escet Ekos e il suo bimbo in grembo.

Sono tanti e bisognosi di cure, il comandante dirige su Malta. Ma viene fermato, il governo maltese non vuole il suo carico aggiunto, il cargo torna indietro e dirige verso l’Italia. Il comandante sa anche che in Italia chi salva naufraghi rischia la condanna come «mercante di carne umana» se le persone giungono vive alle coste italiane. Ma fa lo stesso rotta verso le coste italiane, verso Lampedusa, pensando che gli esseri umani non negano la salvezza di esseri umani. Semmai è il contrario, ringraziano per ogni salvataggio. Ma questo non avviene, appena la prua della Pinar oltrepassa la linea delle acque territoriali italiane viene bloccata dalla corvetta militare Lavinia. E qui entrano in scena i governi. Un braccio di ferro tra Malta e l’Italia che ha per “ricompensa” il carico extra della Pinar. Il nostro governo da prova di disumanità: “con gli immigrati dobbiamo essere cattivi”, un’offesa alla costituzione. Malta fa altrettanto, argomenta debolmente i motivi, ma resta ferma. Non li vuole. La diciottenne Escet Ekos i suoi compagni disgraziati e il comandante Asik Tuycun sono sulla stessa nave. Immobile nel mediterraneo la Pinar parla, fa rumore come tutte quelle navi che stanno immobili nel mare, ringhiano, muggiscono, gemono è un mormorio di dolore metallico. Escet Ekos però non ce la fa, muore, con lei anche il bimbo che ha in grembo. Muore tra l’indifferenza del mondo. Il suo corpo è ormai la  bara del suo povero bimbo e insieme stanno putrefacendo sotto il sole, sul ponte della Pinar, tra uomini e donne disperati, sfiniti, ammalati, ustionati, assetati senza neanche la voglia di parlare. Ormai sono giorni che va avanti così e dicono “non c’è nessuna emergenza sulla Pinar”. Dopo cinque lunghi giorni, finisce l’odissea, i migranti vengono sbarcati sul suolo italiano. Sbarca pure Escet Ekos con il suo bimbo, dentro un sacco di plastica bianco, ha raggiunto il suo sogno, ma non come voleva. Intanto il nostro governo dice che la decisione è esclusivamente umanitaria, da non intendersi ne come un precedente ne come riconoscimento delle ragioni adotte da Malta. Commentare l’operato del governo maltese e di quello italiano ora è superfluo. Una cosa è certa, hanno dimostrato tutta la loro ipocrisia dietro la scusa della ragione di stato.

16 aprile 2009 – Lampedusa – (http://www.osservatoriorepressione.info/16-aprile-2009-lampedusa/)

Al largo di Lampedusa, naufraga un barcone carico di 145 migranti. Mentre Italia e Malta si rimbalzano le responsabilità, i naufraghi sono salvati dalla nave turca Pinar, per altro non attrezzata al salvataggio, così che Esat Ekos, 18enne incinta, non riesce ad aggrapparsi allo scafo e muore.

Passeranno due giorni prima che il governo italiano, pressato da associazioni, movimenti, ambienti europei ed ecclesiastici, si decida a rispondere all’appello del comandante turco “non abbiamo viveri né acqua, dormono sul ponte al freddo, si rischia una strage…

di Fabio Scatolini