Asia Bibi simbolo delle minoranze etniche e religiose

Esistono paesi in cui la giustizia, così come noi la conosciamo, non esiste; paesi in cui l’unica legge esistente è quella riportata in un testo sacro ad opera di un profeta per preciso volere di un Dio, paesi in cui l’unico ordinamento giuridico è rappresentato dalla Sharia. Paesi in cui la bestemmia è punita con la pena di  morte, paesi in cui “la vita di una donna vale meno di quella di una vacca o di un cammello” (Oriana Fallaci – Le radici dell’odio: la mia verità sull’Islam).

In Pakistan, paese in cui la legge non è uguale per tutti, piegata alla volontà dei gruppi estremisti e strumentalizzata al servizio dei loro folli deliri, l’assoluzione di Asia Bibi arriva in maniera del tutto inaspettata; condannata all’impiccagione perché ritenuta colpevole del reato di blasfemia, la sua vicenda è stata oggetto di una lunga battaglia che ha visto la mobilitazione degli attivisti per la difesa dei diritti umani di tutto il modo. Asia, 47 anni, contadina e madre di cinque figli, è il simbolo della giustizia sommaria applicata a persecuzione delle minoranze etniche e religiose. La sua unica colpa, il 14 giugno del 2009, è stata quella di obbedire a un ordine, quello di andare a prendere dell’acqua; di fede cristiana e, quindi, “impura”, così facendo avrebbe contaminato il pozzo. Aggredita dalle altre donne musulmane impegnate quel giorno nel lavoro nei campi, per difendersi avrebbe “offeso” il profeta Maometto, e per questo motivo denunciata, picchiata, rinchiusa in uno stanzino e stuprata. Pochi giorni dopo Asia è stata arrestata e condotta presso il carcere di Sheikhupura (Punjab) senza che ci fossero prove a suo carico.

Il suo calvario era appena all’inizio. La prima sentenza, emessa l’undici novembre 2011 (oltre un anno dopo l’arresto) a seguito di un processo quantomeno dubbio, l’ha vista colpevole e condannata alla pena di morte “senza circostanze attenuanti”. Quattro anni dopo, il 16 ottobre 2014, l’Alta Corte di Lahore (cui la famiglia si era rivolta) ha confermato la pena capitale per la donna che, nel frattempo, visitata dall’Ong che si è occupa dell’assistenza legale, è stata trovata “in condizioni d’igiene personale terribili e in condizioni di salute, sia fisiche sia mentali, critiche”. L’intero mondo estremista islamico si è espresso in favore dell’esecuzione, contrastando duramente prese di posizioni più democratiche; il governatore del Punjab, recatosi a trovare Asia Bibi in carcere, e Shahbaz Bhatti, cattolico e Ministro per le Minoranze Religiose, sono stati brutalmente assassinati per aver espresso la propria solidarietà alla donna.

Solo pochi giorni fa, il 31 ottobre, a distanza di quasi dieci anni dall’inizio del suo dramma, una Corte Suprema blindata e presidiata da oltre trecento poliziotti ha emesso il verdetto di assoluzione, in un clima di grande tensione e con un’Islamabad in stato di massima allerta. Numerosi sono stato gli scontri con i manifestanti scesi in piazza per protestare contro il verdetto, come numerose sono state le minacce rivolte agli avvocati difensori e alle loro famiglie, così come quelle rivolte alla stessa famiglia di Asia che, per motivi di sicurezza, ha dovuto prolungare la permanenza in carcere. Attualmente la sorte di Asia è appesa a un filo, contesa da numerosi paesi occidentali offertisi di ospitare la donna e la sua famiglia e di offrire loro asilo politico, ma anche dai gruppi estremisti che hanno richiesto la revisione del processo e l’inserimento della donna nelle liste delle persone che non possono lasciare il paese.

Asia, suo malgrado, è divenuta simbolo di un qualcosa molto più grande di lei: della persecuzione delle minoranze etniche e religiose, della condizione di migliaia di donne la cui vita non ha alcun valore; dal canto nostro ci auspichiamo che, presto, possa tornare a essere soltanto moglie, madre e cristiana in un paese in cui la libertà individuale e la sacralità della vita umana siano i punti cardine della vita sociale.

di Leandra Gallinella

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