Trentasei anni di Gran Torino

Torino Film Festival  non poteva festeggiare meglio il suo trentaseiesimo compleanno. Lo ha fatto premiando come vincitore quello che è subito apparso come un film sorprendente, sia dal punto di vista del contenuto narrativo, sia – soprattutto – da quello della qualità delle immagini, della fotografia, della luce, delle inquadrature, dei movimenti macchina. Si tratta di Wildlife, di Paul Dano, una vicenda ambientata nello Stato del Montana, USA,  negli anni ’60. Una madre, un padre e un figlio adolescente vivono una calda estate che rischia di bruciare non solo i fitti boschi sui monti che sovrastano le città, ma anche il loro stesso senso dell’esistenza. Un premio che onora interamente questi trentasei anni di grande cinema, di tanto cinema, di tanti generi, di tante voci e luci, ma sempre in direzione della qualità delle immagini e dei racconti. Le opere del concorso ufficiale erano quindici, ma il TFF si anima di altre sei sezioni, più una retrospettiva, nelle quale sono disseminate molte altre inaspettate e geniali perle di cinema. Tra i circa duecento film di lungo (133), medio (23) e cortometraggio (22), ci sono state trentaquattro anteprime mondiali e cinquantanove italiane. Per la retrospettiva dedicata a Powell&Presburger sono state risfoderate ben 24 opere di questi due grandi  autori della prima metà del secolo scorso. Un’altra dozzina di film la presidentessa del Festival, Emanuela Martini, ha voluti dedicarli a un altro grande maestro, sempre dello stesso scorcio di tempo, il regista francese Jean Eustache. La sua monumentale, non solo come durata –  217 minuti –, La maman et la putain, del 1973, ha concluso adeguatamente l’omaggio che Emanuela Martini ha anche personalmente curato.

Le opere del concorso ufficiale erano quindici, ma il TFF si anima di altre sei sezioni, più una retrospettiva, nelle quale sono disseminate molte altre inaspettate e geniali perle di cinema. Tra i circa duecento film presentati di lungo, medio e cortometraggio, ci sono state trentanove anteprime mondiali e cinquantaquattro italiane. Un’intera giornata è stata dedicata all’opera di Ermanno Olmi e dei suoi allievi Mario Brenta, Maurizio Zaccaro e Giacomo Campiotti, conclusa con la proiezione de Il mestiere delle armi. Una vera perla di magistrale candore olmiano, risalente alla sua giovanile e non da tutti conosciuta opera, è stata però per il pubblico La cotta, del 1967. Presidente della giuria internazionale del TFF è stato il cinese Jia Zhangke, di cui abbiamo visto – fuori concorso –, nella sezione Festa Mobile, il suo ultimo film  Ash is the purest white, una drammatica odissea di diciassette anni e settemila chilometri di una donna, interpretata da sua moglie Zhao Tao, resa attraverso un’alta qualità narrativo-cinematografica per descrivere gli sconvolgenti mutamenti della Cina contemporanea su un suo ancora persistente sottosuolo tradizionale. La Cina è stata presente anche con altri due importanti film. Il primo è BlueAmber, del giovane Jie Zhou, sul valore della vita umana rapporta al valore delle merci e del denaro nell’attuale realtà del suo paese. Il secondo First Night Nerves, di Stanley Kwan, maestro del genere melò, ambientato a Hong Kong, il cui racconto sottintende e invita proprio a una definitiva riconciliazione politica tra la realtà di questa ex colonia britannica e quella della Cina di oggi.

Certamente il film che ha più folgorato il grande pubblico torinese è stato TheGuilty, di Gustav Möller. Un poliziotto danese, nel turno di notte alla centrale operativa, deve cercare di risolvere una folle corsa di sangue e orrore, soltanto usando il telefono, il computer e il suo di sangue – freddo. Come dice però dal Castello di Helsingor il principe danese Amleto “C’è del marcio in Danimarca” e la follia non è rinchiusa solo nelle cliniche psichiatriche a nord di Copenaghen. La cosa sorprendente di questo film è che è stato prodotto, scritto, girato, fotografato, sonorizzato, mixato da una banda di ragazzine&ragazzini, appena diplomati al loro corso di cinema e senza aver girato mai niente prima. Il film di questa geniale troupe giovanile ce lo farà vedere in Italia Movies Inspired, casa di distribuzione doc torinese,nella prossima primavera 2019.

Giovani sono anche molti degli spettatori che quotidianamente affollano le nove sale dei tre cinema che ospitano il Festival. Le tre del Massimo, proprio sotto la Mole, le cinque dello storico Reposi, tra Via Roma e Porta Nuova, la mono sala con galleria del Classico,solo per le proiezioni stampa, alla fine dei portici di Via Po, aprendo su Piazza Vittorio. Quello di Torino è uno dei festival più partecipati dalla propria città, dalle proprie ragazze e ragazzi. Cinema, strade, facce, voci, passi, acciottolare di piatti e bicchieri, brusii di commenti nei caffè, nelle locande, sui tram, negli auricolari o bluetooth degli smartphone, sono un tutt’uno nei dieci giorni della rassegna. È tutto l’assetto storico, architettonico, urbanistico, infrastrutturale – riqualificato a far data dalle Olimpiadi Invernali del 2006 – che partecipa, tanto da farsi interamente città-cine-festival. Non grandi divi, dunque, ma una gran diva di città,  lucida, appassionata, sensibile a quegli sguardi attraversanti materia ed esistenza che si chiamano cinema.  E Torino di sguardi cinematografici nuovi, inediti, che ci guardano e ci domandano mentre noi siamo fissi e criticamente interrogativi su essi, ne offre davvero tanti, in tutte le sue sezioni. Soprattutto, in quella dei documentari e dei corti, sapientemente curata e condotta da Davide Oberto, Paola Cassano, Mazzino Montinari, Séverine Petit. Qui le vie sperimentali, future del cinema trovano a Torino un pubblico attento e portatore di un giudizio, di un dialogo attivo con gli autori. E questo rapporto davvero il cinema lo forma, lo costituisce, nel transito da un’edizione a quella successiva. Sono molti, infatti, gli autori che tornano al Torino Film Festival, con l’ultima sedimentazione che il loro confronto con la città-festival ha svelato. Per questo già possiamo preconizzare che il trentasettesimo compleanno sarò ancora più bello, importante e partecipato di quello appena conclusosi.

di Riccardo Tavani

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