Suicidi nelle forze armate: il ministro Trenta e i “troppi soldati dimenticati”
San Bonifacio (Verona), 1 dicembre: dopo che si erano perse le sue tracce dalle prime ore della mattina è stato rinvenuto il cadavere del Maresciallo Comandante della stazione carabinieri di San Giovanni Ilarione Marco Brentonego, 48 anni, morto suicida con un colpo di pistola sparato dalla propria arma di ordinanza lasciando la moglie e due figli di 18 e 20 anni. Catania, 3 dicembre: suicida un finanziere, padre di due adolescenti, in fase di separazione dalla moglie. E ancora, nello stesso giorno, un poliziotto quarantatreenne di Latina si è tolto la vita, sempre con la pistola di ordinanza, mentre era in casa propria. Venerdì 8 dicembre un appuntato dei carabinieri in servizio a San Lazzaro (Bo) si è tolto la vita nel bagno del cimitero ove è tumulata la mamma deceduta due anni fa, lasciando la moglie, dalla quale si stava separando, e due figli gemelli di diciassette anni. Ultimi aggiornamenti di un bollettino di guerra che, negli ultimi dieci anni, ha contato più di 270 vittime, e che rende impossibile ricondurre il fenomeno a mera “statistica”. Sull’argomento è intervenuto il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, che ha chiesto un “impegno forte” per prevenire il fenomeno in quanto “un’organizzazione in cui l’uso delle armi fa parte della normale operatività deve essere più responsabile e più capace di cogliere quei segnali di allarme, qualora ci siano, che potrebbero aiutarci a prevenire un fenomeno che, nel 2018, risulta anche in aumento”. “Ci sono tanti, troppi soldati dimenticati” ha aggiunto il ministro, che sostiene che Difesa e Forze Armate abbiano “tutte le competenze e l’expertise per cogliere i sintomi, trattarli nell’immediato per evitare che si cronicizzino e degenerino in disturbi veri e propri e per consentire a uomini e donne che hanno subito un trauma legato al servizio prestato con onore e orgoglio di guarire, nella maggior parte dei casi, e proseguire la loro carriera militare”. Che la sindrome da stress post traumatico possa seriamente colpire i nostri militari è un qualcosa di cui finalmente si comincia a parlare, in controtendenza rispetto a come operato finora, sminuendo il problema e rifiutando l’idea che tutti questi episodi avessero a che fare con la sfera lavorativa, e riducendoli a conseguenze di problematiche esclusivamente personali. E’ il caso, ad esempio, di un parà della Folgore, rimasto ferito in un attentato terroristico; rientrato a casa è stato poi richiamato in missione in Libia senza che fossero accertate le sue reali condizioni psichiche. Un forte disagio, sapientemente dissimulato e non intuito da chi avrebbe dovuto, lo ha poi portato a tentare il suicidio per ben tre volte. Ebbene, non è accettabile che uno Stato abbandoni i propri servitori più fedeli proprio nel momento di maggiore bisogno, nel momento di massima fragilità: è necessario “iniziare a guardare nelle nostre caserme con sincerità e concreta e fattiva vicinanza, per chiederci se i valori che esprimiamo siano coerenti con la situazione effettiva che vivono i nostri uomini e le nostre donne”. E noi, dal canto nostro, non possiamo che augurarci che il benessere di tutto il personale impiegato per la difesa diventi una, anzi, la priorità.
di Leandra Gallinella