Piersanti Mattarella 39 anni dopo, si cerca ancora la verità

Spari sul sogno della nuova Sicilia. La mafia e la sua spirale terroristica 39 anni fa ne aveva abbattuto la speranza politica piu’ autorevole: Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana, allievo di Aldo Moro, siciliano tenace e capace, lucido e ostinato propugnatore di una politica dalle “carte in regola”. Una sfida, questa, ancora attualissima, insieme a quella per la verita’ piena su questo delitto che la procura di Palermo e’ tuttora impegnata a ricostruire. Domani il politico sara’ ricordato a Palermo e nella natia Castellammare del Golfo.

Quel 6 gennaio 1980, Piersanti Mattarella era uscito dalla sua abitazione di via Liberta’ ed era salito a bordo della sua Fiat 132 per andare a messa, insieme alla suocera, alla moglie Irma Chiazzese e ai figli Maria e Bernardo. Niente scorta: il presidente la rifiutava nei giorni festivi, voleva che anche gli agenti stessero con le loro famiglie. Si era appena messo al volante, quando si avvicinarono i killer che spararono una serie di colpi. Accanto a lui il fratello Sergio, attuale presidente della Repubblica, che lo prese tra le sue braccia. L’Isola piombo’ nuovamente nel suo inferno, in un destino apparentemente senza vie d’uscita. Questa stessa zona della citta’, quella attorno a via Liberta’, cuore urbano del capoluogo, in quegli anni era diventata il crocevia del terrore: li’ vicino, in via Di Blasi, il 21 luglio del ’79, era stato ucciso il capo della Mobile Boris Giuliano. Una scia di sangue, iniziata quell’anno, il 26 gennaio, con l’uccisione del giornalista Mario Francese. Il successivo 9 marzo era stata la volta del segretario provinciale della Dc Michele Reina. Il 25 settembre del ’79 furono ammazzati il giudice Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso.

Piersanti Mattarella da tempo si era reso conto della necessita’ di recidere con urgenza e nettamente i legami della politica e del suo partito con la mafia, con quegli uomini che “non facevano onore al partito stesso”. La vicenda giudiziaria e’ stata lunga e complessa. E non definitiva. Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo i boss della commissione di Cosa nostra (Toto’ Riina e Michele Greco su tutti, con gli altri esponenti della cupola: Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calo’, Francesco Madonia e Antonino Geraci). L’inchiesta, pero’, non e’ riuscita a identificare i sicari ne’ i presunti mandanti esterni. L’anno scorso la procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio: nuovi accertamenti considerati doverosi, anche attraverso complesse comparazioni fra reperti balistici, per quanto siano resi complicati dal lungo tempo trascorso e dalle sentenze passate in giudicato. Nel mirino ancora una volta i Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, il cui capo, il terrorista nero Giusva Fioravanti, riconosciuto dalla vedova di Piersanti Mattarella, Irma Chiazzese, fu processato e definitivamente assolto dall’accusa di essere stato il killer. Uno dei reperti del processo celebrato a Palermo, la targa di un’auto del commando, sarebbe stata divisa in due dagli autori del furto e una parte fu poi ritrovata in un covo dell’organizzazione terroristica neofascista. Dal punto di vista processuale, peraltro, la collaborazione tra “neri” e mafiosi, in vari fatti e azioni delittuose, era gia’ stata piu’ volte sostenuta, ad esempio per la strage del dicembre 1984 del Rapido 904. Molti gli interrogativi. Quel che e’ certo, e’ che un pezzo di storia e di giustizia e’ ancora da scrivere.

di Paolo Borrometi

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