32 ANNI FA, LA “STRAGE DI NATALE”

L’hanno chiamata “Strage di Natale”, o “Strage del Rapido 904”, quella del 23 dicembre 1984 in cui un treno proveniente da Napoli e diretto a Milano fu fatto esplodere alle 19:08 dentro la Grande Galleria dell’Appennino sulla Direttissima, in località San Benedetto Val di Sambro , tra Firenze e Bologna. Un attentato dinamitardo – si appurerà – che provocò 16 morti, tra coloro che persero la vita nello scoppio e chi perì in ospedale, e per il quale saranno condannati i vertici di Cosa Nostra. L’episodio, avvenuto a dieci anni dal massacro dell’Italicus, segnò idealmente il passaggio dalle stragi degli Anni ’70 a quelle di mafia. Antivigilia di Natale. Il rapido 904 partito poco dopo mezzogiorno da Napoli Centrale è pieno di persone che tornano a casa o che vanno a trovare i parenti per le vacanze. All’imbocco della galleria vicina al confine tra Toscana ed Emilia il treno arriva alle 19. Il tunnel è lungo diciotto chilometri ma poco prima di giungere a metà dello stesso due bombe esplodono a bordo trasformando il convoglio in un cumulo di lamiere accartocciate, con tutti i vetri di porte e finestrini in frantumi, la corrente saltata lungo tutto il traforo e il fumo che lo invade in pochi minuti. Solo la prontezza di un controllore che riesce a dare l’allarme da un telefono di servizio fa sì che i soccorsi arrivino in tempo per evitare altri decessi. Sedici morti, tra cui due bambini, e duecentosessantasei feriti è il tragico bilancio. Gli ordigni, azionati a distanza tramite un telecomando, erano stati caricati alla stazione di Firenze Santa Maria Novella e sistemati in altrettante borse poste su una griglia portabagagli della carrozza numero 9, a metà del treno. Evidente quindi che l’intenzione fosse di fare il maggior numero di vittime possibile. Anche perchè nei progetti degli attentatori la deflagrazione sarebbe dovuta avvenire nel momento in cui il convoglio con l’esplosivo ne incrociava un altro in transito sul binario opposto, ma fortunatamente ciò non avvenne perchè il conducente riuscì prontamente a bloccare la linea. La strage fu ordinata per costringere lo Stato ad allentare la morsa repressiva e investigativa cui la mafia palermitana era sottoposta a seguito delle dichiarazioni dei pentiti. Le prime rivendicazioni dell’attentato che giunsero ai giornali si rivelarono false. L’obiettivo di chi chiamava era evidentemente depistare gli inquirenti dando l’idea di una riviviscenza del terrorismo nero. In realtà le indagini misero in luce la matrice mafiosa dell’attentato. Nel 1992 la Cassazione condannò definitivamente all’ergastolo il boss Giuseppe Calò, il “cassiere” di Cosa Nostra già arrestato per altri motivi pochi mesi dopo la strage, e il suo collaboratore Guido Cercola, che si suiciderà in carcere nel 2005. Come mandante fu identificato nel 2011 Totò Riina e il processo, apertosi nel 2014, è ancora in corso.

di Valerio Di Marco

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