Legalità, memoria e partecipazione: quel che manca al Governo

La politica sull’immigrazione (anzi, contro l’immigrazione) del governo è chiara e lineare: porti chiusi, che vadano in Germania o in Olanda. Si sa, quando un’affermazione viene ripetuta, diventa sempre più convincente, come sanno bene i pubblicitari e i politici. Così, anch’io cominciavo a “farmi persuaso” che fosse quella la cosa giusta. Specialmente quando, infine, si è affermato che bisogna ripristinare la legalità, messa in crisi dai fuorilegge delle ONG straniere, come da quelli nostrani che accolgono tanti “illegali” in centri (il Baobab? Riace?) che vivacchiano ai margini della legge. Basta con i complici dei trafficanti di esseri umani!

Finalmente un ministro dell’interno che difende la legge! E, quindi, difende i cittadini, perché senza legalità la convivenza civile è messa in crisi.

Ero quasi convinto, quando mi è venuto in mente un episodio antico, raccontato nei vangeli. Il “popolo” si accingeva a lapidare un’adultera. Oggi ci sembra un atto crudele, ma allora la legge stabiliva così: era, quindi, un atto perfettamente legale, e condiviso dal popolo (potremmo anche dire: un’usanza populista?). Ma, continua il racconto, un noto “rompiscatole” dell’epoca (fece, come è noto, una brutta fine) decise di intervenire contro la legge e contro il popolo e fermò quella legalissima crudeltà dicendo: “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.

Perciò, ho cercato di riflettere su quelli che si sono messi a scagliare pietre in nome della legalità e del popolo. E mi sono accorto che non sono proprio senza peccato: il che non fa scandalo, qualche peccato ce l’abbiamo tutti. Ma non tutti usiamo la legge come fosse una clava, anzi una pietra: cioè per offendere, non per fare giustizia.

In piena tangentopoli, per esempio, alcuni deputati leghisti portarono un cappio in parlamento, tanto per far sapere a tutti cosa ne pensassero dei vari “mariuoli” allora sotto indagine. Peccato che, nello stesso tempo, il segretario del loro partito intascasse finanziamenti illeciti, per i quali poco dopo è stato condannato, reo confesso. La tradizione non è stata smentita in anni più recenti, con i 49 milioni di euro di rimborsi elettorali nascosti non si sa dove dallo stesso partito che, coerentemente, ha ancora riportato in parlamento quell’antico segretario e fondatore. Sembra proprio che la legge debba valere soltanto per gli altri.

Forse, però, il reato commesso più frequentemente dai leghisti è quello previsto dall’articolo 292 del codice penale: vilipendio della bandiera. Non soltanto l’hanno più volte, di fatto, bruciata, ma il farlo era parte integrante della loro ideologia e dei loro slogan: “E noi che siamo padani / abbiamo un sogno nel cuore: / bruciare il tricolore, bruciare il tricolore”.Legalità? Prima gli italiani?

Oggi si vantano per l’estradizione in Italia (che, ovviamente, non è merito loro) di Cesare Battisti, ma dimenticano che un altro terrorista degli anni di piombo ha collaborato all’organizzazione delle “camicie verdi” leghiste (cfr. https://it. wikipedia.org/wiki /Roberto_Sandalo). Legalità? Onestà? Per non dire che le camicie verdi, adottate dalla Lega per la sua “guardia padana”, “appartengono alla storia e alla tradizione del vecchio mondo attivistico della destra italiana.  Apparvero per la prima volta nel 1953 ai funerali del maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani. È proprio con le Camicie verdi che nel lontano 1956 l’allora segretario giovanile del Movimento sociale italiano, Giulio Caradonna, preparò il famoso attacco alle Botteghe Oscure, al quale parteciparono con la camicia verde…”: il corsivo riporta un’intervista di Domenico Gramazio, che ritengo parlasse con competenza e cognizione di causa, secondo “il manifesto” del 12 luglio 2009. Legalità o eversione?

Ma la legalità ha anche altri aspetti: stabilisce, ad esempio, chi debba fare cosa. Mi riferisco alle norme che governano i porti: questi non sono di pertinenza del ministro dell’interno, ma di quello dei trasporti, da cui dipendono le Capitanerie e la Guardia Costiera. Quando Salvini decide la chiusura dei porti, si sta appropriando di un potere che non gli compete. È pur vero che tira dritto e che non molla: ma se sbagliare è umano, perseverare non è detto che sia una virtù. Toninelli, che dovrebbe disporre del destino delle navi che trasportano naufraghi, non ha mai rivendicato il suo ruolo istituzionale. A quanto pare, il suo ruolo nella divisione di compiti del governo, è solo quello di dire sfondoni. A proposito, lo status giuridico dei passeggeri di quelle navi è di naufraghi, per i quali non è proprio prevista la chiusura dei porti.

Le leggi italiane, si sa, sono forse troppo complesse. Ma se uno pretende di fare il ministro dovrebbe almeno informarsi. Che la legge, come tutti sanno, non ammetta ignoranza, vale a maggior ragione per chi sta al governo.

E poi, se le leggi ci sembrano complesse, si può sempre far ricorso al concetto di onestà: questo è più semplice e non è compatibile con l’ipocrisia di chi parla di legalità pretendendo che le leggi si applichino solo agli altri e, soprattutto, ai più deboli. Né possiamo ripararci dietro al volere del popolo: quando al popolo si dice la verità, anche il popolo sa ragionare e la smette di tirar sassi, come aveva capito il “rompiscatole” di cui sopra.

Certo, è difficile risolvere il problema dell’immigrazione. Mi piacerebbe avere la soluzione in tasca, ma evidentemente, nessuno ce l’ha. Forse, possono aiutarci la memoria e l’informazione: due cose molto trascurate dalla politica.

La memoria ci ricorda che il Tribunale di Strasburgo ha già condannato l’Italia per i respingimenti in Libia. Non per motivi politici, ma per l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. Semplicemente perché i migranti respinti al mittente sono stati imprigionati, vessati e torturati: letteralmente e materialmente, non in senso figurato, compresa la violenza carnale. Di alcuni si sa che sono morti, di altri si sono perse le tracce. Quale miglior esempio di complicità con i trafficanti di esseri umani, che riportargli indietro le loro vittime (ovviamente, dopo che abbiano pagato)? Ecco come la memoria ci dice, senza equivoco, che cosa nonsi deve fare. Anche perché, come al solito, non è un ministro ad essere condannato e a dover risarcire le vittime: è tutto il Paese, me compreso. La vergogna riguarda “prima gli italiani”. Come pure e i risarcimenti e le spese giudiziarie, che l’Italia ha dovuto pagare.

La memoria ci dice anche che l’intervento delle ONG e l’operazione europea “Sophia” sono nate per cercare di impedire le migliaia di morti per naufragio: 34.361 (trentaquattromilatrecentosessantuno) quelli cui si è potuto dare un nome, fino al giugno 2018; ancora 2.873 nel solo 2018, nonostante il drastico calo degli arrivi, perché in compenso è più che raddoppiata la percentuale degli annegati rispetto alle partenze. Numeri che dimostrano che l’azione di governo è più efficace contro le ONG, che non contro gli scafisti. Vi sembra la strada giusta?

Quanto all’informazione, può essere utile sapere che, firmando il Global Compact for Migration a Marrakech, il Canada ha deciso di accogliere oltre un milione di immigrati nel prossimo triennio. Certo che il Canada è diverso da noi: è più grande e meno popolato. Ma il concetto è che ha riconosciuto la necessità storica dell’accoglienza e l’utilità dei migranti, come aveva fatto Mimmo Lucano: anche Riace, sebbene piccola, è spopolata. Soprattutto, nell’azione del Canada è visibile un diverso stile di far politica: quello di partecipare. I nostri politici, già cronicamente assenti dall’Europa, preferiscono snobbare gli incontri internazionali. È difficile difendere gli interessi nazionali, quando si è definiti “un altro euroscettico che è europeista quando si tratta di ritirare lo stipendio da deputato”, come commenta il giornale “Politico”, inserendo Salvini nella “top list” dei 20 peggiori eurodeputati.

A proposito, Politico non è un giornale italiano.

di Cesare Pirozzi

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