Il Gabbiano (à ma mère)

Massimo Ranieri torna alla drammaturgia russa, portando sul palcoscenico il suo primo Anton Čechov, con un regista. di tutto rispetto come Giancarlo Sepe. Dal 19 al 31 marzo è infatti al Teatro Quirino con Il gabbiano (à ma mère), con Caterina Vertova, Pino Tufillaro, Federica Stefanelli, Martina Grilli e Francesco Jacopo Provenzano.

Ci si può chiedere perché (à ma mère). Perché in realtà il regista ha tratto spunto dalla vita reale dell’attore, dalla sua infanzia, dal suo rapporto con i genitori intrecciando il tutto con il personaggio di Kostja e con questo rapporto conflittuale e lacerante con la figura materna.

In realtà Ranieri fa da voce narrante attorno alla storia che si dipana attraverso sei attori di altissimo livello recitativo. Ognuno con il proprio vissuto interiore, con il proprio dramma che pesa dentro e nessuno, nessuno di loro, conosce la felicità. Pervade anzi un senso di sconforto generale persino degli innamorati. Amori dibattuti, fonte non di gioia ma di tormento e dolore.

La scena si apre con un lungo pianoforte, come se fosse un treno, la cui direzione ci è sconosciuta e del quale ogni tanto si sente il fischio che annuncia la sua partenza o il suo arrivo. Come con le stazioni della vita.

E nella sua magistrale interpretazione, Ranieri dirà: “La musica evolve l’amore”.

Abile nel suo ruolo di cantante, durante lo spettacolo proporrà canzoni che hanno fatto la storia come:

Avec le temps (Leo Ferrè) – La Foule (Edith Piaf) – La chanson des vieux amants (Jacques Brel) –

Je suis malade (Serge Lama) – Ed Maitenant (Gilbert Becaud) – Hier Encore (Aznavour).

Altro personaggio degno di nota è Mascia. Sempre vestita di nero e lei dirà, a giustificare il suo abbigliamento: “Porto il lutto per la mia vita. La trascino la mia vita, l’ho sempre trascinata”.

E ancora continuando: “Quando sarò sposata non avrò più tempo di pensare all’amore, i nuovi pensieri metteranno a tacere il passato”.

Nina è invece il gabbiano, così la paragona Kostja quando vede la carcassa di un gabbiano da lui precedentemente ucciso: “una giovane donna  vive tutta la sua vita in riva al lago. Lei ama il lago, come un gabbiano. Ma per caso arriva un uomo, e quando la vede la distrugge, per pura noia. Come questo gabbiano”. L’amore distrutto dai triangoli non corrisposti di amori stantii che non rinnovano emozioni ma creano dolore. Čechovdefinisce il gabbiano, un dramma con poca azione ma tanto amore. Un amore infelice, sbagliato, respinto o non accettato. La tristezza dell’amore vissuto nella noia. I personaggi, Irina, Kostja, Trigorin e Nina, vivono i sentimenti con passività chiusi nel recinto delle parti senza il coraggio di cambiare. Il gabbiano è un pretesto che Čechov utilizza per riflettere profondamente nei confronti del teatro e della drammaturgia scrivendo soggetti e personaggi nuovi, in grado di smuovere le coscienze degli spettatori. Anche se è consapevole di quanto le novità possano essere male interpretate dal pubblico. Qui si inserisce il quadro in cui Irina schernisce e deride, non comprendendo, il testo scritto da suo figlio Kostja, giovane drammaturgo, nonché innamorato non corrisposto di Nina, perché troppo innovativo. Irina e Nina sono loro stesse il pubblico che non accetta il nuovo, respinge la sperimentazione, per paura, viltà, o incapacità di comprendere. Anche in amore sono alla ricerca di felicità ma vivono sofferenza. Accettano relazioni che non riconoscono il loro amore, che non valorizzano la passione, rapporti vecchi e consumati passivamente nel dolore. Ma Nina è anche l’amore per l’arte, la sua voglia viscerale di recitare rappresenta l’idealismo artistico, per questo ha valore la metafora con il gabbiano. Nina è un’artista e come un gabbiano deve volare ed essere libera. Solo così può vivere pienamente la sua vita, fuggendo via dalle costrizioni. Massimo Ranieri è l’alter ego più grande di Kostja, che mette a nudo le debolezze di sua madre Irina, ma anche l’incapacità di Nina a liberarsi di un amore malato. Ma Nina, donna che soffre per amore, è infelice eppure sopporta il dolore, si sente un gabbiano perché il Teatro e la Recitazione sono le sue ali. Il teatro la fa sentire libera e felice. Grazie al teatro, Nina, sa vivere nel modo migliore il proprio dolore. Massimo, sui versi cantati in francese, ci fa scoprire che anche il dolore è una forma d’amore.

Uno spettacolo strepitoso, che oscilla in una sorta di analisi interiore, intima, personale, profonda, emotiva. Un gioco di ruoli in cui le emozioni si fondono in un’unica anima, fluttuano tra il pubblico estasiato, toccano le profondità insondate della coscienza di ogni spettatore, vibrano ed esplodono in applausi scroscianti

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