Il “revenge porn” e la legge che non c’è

La locuzione inglese “revenge porn”, tradotto in vendetta pornografica, indica la condivisione pubblica di immagini fotografiche o video intimi attraverso Internet senza il consenso della, o del, protagonista dei video. In alcuni casi si tratta di immagini girate con il beneplacito della vittima, in altri addirittura senza che la vittima ne sia a conoscenza. La pubblicazione sul web invece avviene quasi sempre per vendetta, per una relazione terminata, per un tradimento subito o per qualsiasi altro motivo che non può in alcun caso giustificare tale pratica.

Il revenge porn si esercita purtroppo da molti anni e finisce spesso sui giornali per gravi casi di cronaca come quello in Italia di Tiziana Cantone, 31 anni, che si suicidò nel lontano 2016 dopo che alcuni suoi video sessuali, privati, intimi, furono diffusi senza il suo consenso avendo numerose condivisioni on line. La pubblicazione sui social avviene con l’infima intenzione di umiliare la persona, di denigrarla, offenderla, metterla alla gogna mediatica, abbandonarla ad un giuria popolare spesso bigotta e giudicatrice che riesce, nell’ignoranza di cui si nutre, a rovinare l’intera vita di un essere umano. Proprio per questo ci si spinge oltre ogni possibile gratuita cattiveria, così, ad esempio, le immagini sono condite con informazioni che riescono ad identificare la vittima ritratta. Nomi, indirizzo, provenienza, numero di telefono e così via. Senza limiti. Senza chiedersi cosa succederà dopo. Senza pensare alle conseguenze.

A seguito di numerosi eventi di cronaca nera legati al “revenge porn”, in alcuni paesi come Australia, Germania, Israele, Canada, Regno Unito e ben 34 Stati negli Usa, hanno provveduto a disciplinare il reato. In altre parole chi mette in pratica il “revenge porn” può essere accusato di molestia, violazione della privacy, diffamazione e istigazione al suicidio. In Italia, invece, fino ad oggi non esiste una legge specifica sul revenge porn che tuteli le vittime. Il reato rientra nella fattispecie della diffamazione e violazione della privacy. Ci stavamo quasi per illudere che qualcosa iniziasse a cambiare anche nel nostro paese. E invece…

Invece giovedì 28 marzo, la Camera dei Deputati ha respinto con 232 voti contrari e 218 favorevoli un emendamento al cosiddetto ddl “Codice rosso” che doveva introdurre il reato di revenge porn. Tale emendamento, proposto dalle opposizioni, da Forza Italia al Partito Democratico a Liberi e Uguali, è stato bocciato dai voti contrari di Lega e Movimento 5 Stelle.

La legge bocciata che aveva come prima firmataria l’ex Presidente della Camera Laura Boldrini, puntava a riempire un vuoto formativo italiano introducendo un nuovo tipo di reato e obbligando le piattaforme on line alla rimozione dei video entro 48 ore.

Eppure, incredibile ma vero, per 14 voti, l’emendamento è stato respinto. Sembra che le deputate di PD e Forza Italia abbiano protestato alla Camera raggiungendo i banchi del governo sostenendo che, a differenza di altri casi in cui in passato diversi partiti avevano collaborato per un bene comune come quello della violenza sulle donne, questa volta tutto si è bloccato in nome dell’egoismo e di una ostinazione difficile da comprendere.

Coloro che hanno votato contro, giustificano il loro operato sostenendo che ci fosse bisogno di una legge più completa sul tema e che quindi un semplice emendamento non fosse sufficiente.

La solita storia all’italiana. Chissà se questi parlamentari si siano mai chiesti, in attesa che questo vuoto normativo venga colmato, cosa ne sarà delle tante vittime lasciate sole, in balia di se stesse, di vite spezzate impossibili da ricomporre, cosa ne sarà del loro isolamento, del loro essere condannate dalla gente, specie in piccoli centri in cui tutti si conoscono, impossibilitate a tornare a vivere con quel macigno diffamatorio pronto ad etichettarle, perché in fondo, viviamo in una società prettamente maschilista e bieca.

E chissà, se come spesso succede, dovremmo assistere all’ennesimo suicidio per continuare a dire: “si poteva fare”, “bisognava intervenire subito”…

Parole, parole dette senza pensarle, parole pronunciate per illudere il popolo che stanno dalla parte della gente. E i fatti, i fatti dove sono?

Perché dietro l’ennesima morte annunciata le loro coscienze dovrebbero accartocciarsi per sempre come carta sul fuoco.

Però, loro non sanno che il vuoto normativo è una minima cosa di fronte al vuoto delle loro anime.

Aspettiamo la prossima tragedia, conosciamo già tutti i discorsi che verranno fatti, le menzogne che ci verranno raccontate, e noi, noi speriamo solo di poter sensibilizzare la gente, le persone sul valore della vita.

Sarà  forse difficile ma non impossibile educarli a non giocare con il dolore e le vite altrui.

Ci si può provare con la speranza di chi crede che ci possa essere un futuro migliore.

Però, quando si commette un reato e si è certi dell’assenza della pena, la popolazione sarà sempre incentivata a ripetere quel reato, e altri ancora perché in fondo non si diventa onesti e responsabili per un dono insito in se stessi quanto per la paura di essere scoperti ed arrestati.

Siamo un popolo senza senso civico e morale.

Ditelo voi alle vittime che nulla è stato fatto e nulla verrà mai fatto per difenderle.

Raccontatevi voi la verità che più vi aggrada.

Io sento dentro ogni lacerante brusio del cuore, il dolore, la vergogna e quei voli nel vuoto per far cessare questo mondo malato che gira attorno a loro.

Io sento il boato di un tuffo sull’asfalto e questo, questo mi fa inorridire.

Se solo voi sentiste ciò che sento io, vivremmo tutti in un mondo migliore.

Che quel tonfo sull’asfalto e quell’urlo che sancisce la fine della vita, sia ogni notte l’immagine e il suono che possa accompagnare le notti di ogni singolo responsabile.

E per chi mi taccerà di cattiveria dirò che non voglio un briciolo della loro finta bontà.

di Stefania Lastoria

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