Un continente nella web deriva

Il pomo della discordia è stato tra diritto d’autore (copyright) e libertà d’informazione. E continuerà a esserlo, nonostante l’accordo raggiunto in questi giorni dal Parlamento Europeo sull’annosa, spinosa questione dei diritti d’autore nell’era digitale. Una questione che riguarda chiunque scriva, pubblichi, veicoli, citi contenuti, on-line, i n video, in audio o su carta stampata. Riguarda anche me – personalmente – come autore, redattore e questo giornale su pubblico i miei articoli. Nel caso dovessi copia-incollare – citare – un brano di qualcun altro, oltre una certa quantità di righe, il giornale potrebbe incappare nel pagamento di diritti d’autore. Questo potrebbe accadere per ognuno dei redattori della nostra testata on-line. La stessa cosa potrei pretendere io – e Stampa Critica – se qualcuno citasse o ripotasse per intero un mio articolo. Naturalmente, però, quel qualcuno ora si guarderà bene dal riportare brani di un mio pezzo, relegandomi nell’oscurità mediatica.

Scrivo al condizionale e non a caso. La direttiva appena approvata dal solo Parlamento Europeo, dovrà essere ora ratificata integralmente dal Consiglio Europeo, ossia dalla struttura in cui siedono tutti i leader – e non i semplici rappresentanti parlamentari – dei singoli Stati e governi che compongono l’Unione. Una volta conseguita questa successiva approvazione, sarà lasciato a ogni Stato la libertà di adattare alla propria situazione interna questa direttiva. Ossia l’Unione definisce un obiettivo quadro – quello di riconoscere il pagamento del copyright anche nel web –, poi ogni Stato e governo promulgherà ognuno la propria legge atta a raggiungere tale obiettivo generale. Tempo elargito due anni, dal momento della ratifica del Consiglio. Ossia:una ne pensano e in cento la frantumano. O in ventotto, quanti sono gli Stati che attualmente compongono la UE. Sembra evidente che governi – come quello italiano – che hanno votato contro l’accordo emaneranno una legge applicativa molto vaga e lasca, che lascerà più o meno immutata la situazione presente. Non può infatti sfuggire che una delle due pilastri politici del nostro attuale governo sia diretta e amministrata da una piattaforma digitale privata. Due anni, inoltre nell’era digitale, rappresentano una vera e propria era tecno-geologica. Il mutamento del panorama elettro-mediatico è già ora in tale vertiginoso mutamento, che da qui al 2021 è davvero difficile soltanto abbozzarlo.

La direttiva europea dovrebbe ora costringere le immense piattaforme mondiali, dominatrici del web e dei social, a pagare il libero saccheggio quotidiano che fanno di ogni prodotto del libero ingegno umano in ogni campo, artistico, fotografico, scientifico, saggistico, persino utopico-immaginativo. Ammesso che tali giganti si piegheranno a tale obbligo – disponendo di un’immane massa economica per fare comunque fronte a tale pagamento – il problema resta quello dei piccoli editori, siti, pagine web, che dispongono di scarse o nulle risorse, fino ai singoli web utenti nei loro profili social. Non potendo pienamente citare, riportare, ri-postare, si troveranno a offrire una informazione talmente limitata da finire in una definitiva zona d’ombra mediatica. La direttiva prevede ancora che chiunque metta in rete dei contenuti, articoli, foto, ecc., debba controllarne se essi violano la protezione del copyright e nel caso rimuoverlo immediatamente, pena il pagamento di salate penali. Le grandi piattaforme possono già ora disporre di costosi sistemi di individuazione algoritmica ed eliminazione automatica di tali contenuti. La stessa cosa non è alla portata dei piccoli, i quali non possono neanche pagare una redazione tecnico- legale in grado di operare tale controllo. Qui poi si nasconde anche un grave pericolo di censura. I grandi potrebbero selezionare ed eliminare all’origine autori e contenuti sgraditi con la scusa di essere ipoteticamente passibili di violazioni del copyright. Così che tali contenuti e autori – preventivamente oscurati – non possono neanche arrivare ai piccoli e – in definitiva – restare occultati in tutta la rete mondiale. Sì, la direttiva prevede una serie di correttivi a questi e altri pericoli cui potrebbe direttamente e indirettamente incappare, ma la libertà applicativa lasciata ai singoli Stati rischia alla fine o di accentuarli o di rendere del tutto evanescenti anche gli aspetti più seri e necessari.

L’insidia è in realtà ben più grave. Le grandi piattaforme informatiche non inglobano e utilizzano soltanto contenuti di autori, artisti, ricercatori, ecc. Esse succhiano i miliardi di profili e loro quotidiane, orarie, istantanee sfumature che noi spontaneamente offriamo loro attraverso i principali social-media,  Fb, Tw, Google, Instagram, ecc. Tutta questa infinita massa informativa viene poi processata dentro i loro algoritmi per influenzare poi i nostri consumi, costumi opinioni, pensieri, percezioni emozionali e sensoriali. Soprattutto, però, tale psico-materia individuale e collettiva sta per essere proiettata verso il prossimo passaggio tecno-generazionale: l’Intelligenza Artificiale. Ossia la robotizzazione di qualsiasi attività umana, manuale, intellettiva, onirica, sensoriale o delirante che sia. Ormai il nucleo incandescente della materia va molto oltre il mero diritto d’autore che è sacrosanto proteggere e riconoscere economicamente. È tutto il diffuso intelletto generale media-sociale, trans-elettronico, ad essere posto al servizio del profitto informatico privato. Oltre il copyright, l’Europa deve mettere al centro dello scontro con i padroni del web questo nodo. E lo dovrebbe fare attraverso una chiamata all’informazione e al dibattito pubblico capillare. Cosa che è totalmente mancata nel lungo processo di formulazione e approvazione della recente direttiva. Già il possesso fisico e legale delle mega web piattaforme è extra europeo; oggi è in America, in primo luogo, e forse domani sarà in Cina.  Se a questo aggiungiamo che la recente direttiva, per quanto importante, manca di una vera visione strategica dei mutamenti che già appaiono sulla linea dell’orizzonte, non ci sono davvero speranze di affermare nuovi principi di civiltà planetaria  per questa era di dominio digitale.

Perché non si costituisca l’Unione come geo-fondamento di civiltà politica elettronica attrezzata; perché un intero continente ricco di storia, cultura, economia non riesca a unificarsi per varare esso piattaforme e applicazioni di giustizia social-informatica, reti interattive di intelligenza umano-artificiale, resta legato a quella originaria caratteristica che fa dell’Europa la fondazione ontologica stessa della divisione in classi, visioni, saperi.

di Riccardo Tavani

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