La via lattea di quel nostro primo amore lesbo e gitano


Dal nostro
inviato al festival Riccardo Tavani

Sembrano passarsi il testimone come in una staffetta i quattro titoli presentati ieri al Cinema Farnese, a Campo de’ Fiori, Roma, nella seconda giornata del Festival del Cine Español.

La Vía Lactea, 1969, uno dei capolavori lasciatici da Luis Buñuel, è incentrato sulla figura di Gesù e sulle letali dispute teologiche che si sono scatenate nei secoli su di lui. Un Gesù rappresentato dal grande maestro del cinema iberico in un modo insolitamente celestiale, in quanto anche gioioso, ironico, spiritoso, nel senso dell’allegria dello spirito nella quotidianità dei rapporti con sua madre Maria e i suoi discepoli. Un capolavoro che si rivede con uno stupore che resta sempre quello della prima volta. E che per questo dovrebbe vedere chi non l’ha mai visto.

Matar a Jesús, Colombia 2017, di Laura Mora, è ambientato a Medellín, città nelle mani del più infernale Cartello dei narcos centroamericani. Lo Jesús del titolo è il nome di un ragazzo impigliato tra le dita e i fili che il Cartello muove su di lui come su una marionetta al servizio dei propri crimini. Chi vuole matarlo, ammazzarlo a pistolettate è una ragazza di cui lui però s’innamora, perché è convinto che solo lei potrà salvarlo. La ragazza, Paula, studia arte, in particolare fotografia all’Università della città. Il film è girato con la tecnica della macchina a mano, con immagini movimentate, rimesse dinamicamente in fila nel montaggio, per restituirci il clima allucinato e allucinogeno di una città, dentro i cui diversi gironi infernali la vicenda ci conduce. Il film si ispira alla tragedia familiare realmente vissuta dalla sua regista.

E la fotografia come arte, pensiero, testimonianza, sguardo, dannazione, scatto e redenzione sulla realtà – è il tema stesso del terzo film proiettato, Alberto Garcia-Alix: la linea de sombra. Il grande fotografo castigliano mette davanti all’obbiettivo la sua faccia e la sua voce e ci racconta – in rigoroso bianco e nero – la sua stagione all’inferno per endovena. La sua lunga stagione da maledetto dell’eroina e di ogni altra droga sintetica a tiro della sua motocicletta in viaggio per tutti gli stati di Spagna. La linea de sombra, d’ombra del titolo è quella che corre tra il buio di questa sua vicenda biografica e la luce non solo dell’immagine fotografica ma anche della parola. L’immagine fissa, la parola sviluppa, dice a un certo punto della sua riflessione esistenziale Garcia-Alix. Così, da quel momento, ogni sequenza di scatti è accompagnata da stringhe di parole poetiche che svelano la linea d’ombra che corre frammentato tra la ricerca del senso e del ri-scatto.

La maledizione esistenziale incombe anche sulle due protagoniste che danno il titolo all’ultimo film della giornata, Carmen y Lola, di Arantxa Echevarría. È la maledizione di un’intera comunità, quella gitana di Madrid, scagliata su queste due ragazze che scoprono la via lattea del loro primo vero amore, e ne rimangono sorprese, sconvolte, travolte. Perché – sulla soglia dei diciassette anni il loro primo amore è quello lesbo e lo provano inesorabilmente, fatalmente l’una per l’altra. La regista ci ha detto che il suo film prende spunto da un fatto vero. Il matrimonio – legale in Spagna – tra due ragazze sì lesbo, ma per di più gitane, e questo era davvero tremendamente più raro. Tremendamente, perché nella loro comunità la solo idea di un amore gay tra donne è completamente inconcepibile. Tanto che le due ragazze, la foto del loro matrimonio l’hanno dovuta fare di spalle. Ecco, ci ha spiegato l’autrice, questa foto è come se io l’avessi voluta girare e provare a guardarla da davanti, e immaginare quello che poteva essere accaduto. Ne è scaturita una storia insieme delicata, ribelle, ironica, comica, drammatica con tutti i colori vivaci, le tonalità emotive, i canti, i balli della comunità gitana spagnola. E i sogni, i sogni delle sue giovani, perché come dice Lola all’amica d’infanzia Paqui: “A noi ragazze gitane non è permesso neanche di sognare”. Le due giovani e guapas, belle interpreti, Rosie Rodriguez, come Carmen, e Zaira Romero come Lola, non sono attrici professioniste. La regista le ha scelte – insieme anche ad interpreti del film – tra circa milleduecento persone che hanno risposto alla sua ricerca nella comunità gitana di Madrid. Il film ha vinto due Premi Goya 2019: migliore regista esordiente a Arantxa Echevarría; migliore attrice non protagonista a Caroline Yuste, nel ruolo di Paqui.  Sempre strapieno, e con l’aggiunta di sedie supplementari, il Cinema Farnese, sempre fino verso mezzanotte l’incontro e il brindisi finale con la regista.

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