Apertura cubana della cine-movida spagnola

Dal nostro inviato al Festival Riccardo Tavani

Apertura all’insegna di Cuba quella della 12a edizione del Festival del Cine Español. Come fosse la geniale apertura di una partita a scacchi del leggendario Capablanca,  campione del mondo cubano negli anni Venti del secolo scorso. Sullo schermo 4K del Cinema Farnese, a Campo de’ Fiori, Roma, sono stai infatti proiettati ieri due grandi film sull’isola caraibica che misurano una distanza storica di mezzo secolo l’uno dall’altro. Sono Memorias del subdesarollo, del 1968, di Tomás Gutiérez Alea, e Yuli, del 2018, di Icíar Bollaín. Quest’ultimo era il film dell’apertura ufficiale del Festival. Programmato alle 21, ha fatto registrare un afflusso di pubblico che ha costretto gli organizzatori a disporre altre sedie lungo le pareti della sala. Dopo il film, il lungo incontro dal vivo con l’autrice che tra riflessioni, domande e risposte si è protratto fino quasi a mezzanotte. Il pomeriggio era però iniziato alle ore 16 con Entre Dos Aguas, di Isaki Lacuesta, un cruciale film spagnolo, ambientato in Andalusia, tra Cadice, Malaga, San Fernando.

Cominciamo con questo. Lo abbiamo definito film cruciale, per una forma narrativa che corrisponde anche una particolare tecnica di ripresa, di recitazione e poi di montaggio che colloca l’opera al confine di diversi generi cinematografici: sentimentale, drammatico, documentario sperimentale, cinema-verità. Il film, inoltre, è la ripresa di uno precedente del 2006, La leyenda del tiempo. Il regista Isaki Lacuesta, a dodici anni di distanza, riprende gli stessi fratelli gitani, Israel e Cheito, allora poco più che adolescenti. Nel racconto di oggi vediamo spezzoni di quel film, con le facce, le parole, le speranze di quei due ragazzini di allora, come fossero ricordi del passato che affiorano in maniera lancinante nel presente. Cheito è appena sbarcato dalla nave militare su cui presta servizio, Isra sta uscendo di galera dopo un lungo periodo di detenzione. Entrambi sono sposati e con tre figlie ciascuno. Il senso dell’irrisolvibile chiusura dell’oggi rispetto all’apertura di ieri è reso epidermicamente non solo da quanto avviene sulla scena ma da come, dal modo peculiarmente cinematografico in cui avviene. La forma cinematografica si fa contenuto, non solo narrativo ma di verità esistenziale che si presenta fuori, ossia oltre la rappresentazione del racconto e dello schermo.

Memorias del subdesarollo, seconda opera della prima giornata, è tratto dall’omonimo romanzo di Edmundo Desnoes, il quale ha scritto anche la sceneggiatura del film, insieme al regista Tomás Gutiérez Alea. Anche qui assistiamo a un classico racconto di cinema in bianco e nero, sul filo di un proficuo sperimentalismo, attraverso immagini di repertorio storico, salti temporali, monologo interiore, realtà fotografica delle strade di una L’Avana ancora in via di transizione tra l’urbanistica edificata dagli americani e dal vecchio regime di Batista e la vittoria della rivoluzione castrista nel 1959. Soprattutto nel quartiere del Vedado, in cui la vicenda è ambientata, ancora oggi si colgono questi segni. Dopo l’ascesa la governo di Fidel Castro e dei suoi guerriglieri barbudos, molti residenti abbandonano la città e l’isola verso la Miami. Anche Laura, moglie del protagonista Sergio Carmona Bendoiro, se ne va, lasciando il marito da solo nel grande attico panoramico in cui abitavano insieme. Anche altri suoi intimi amici partono. Sergio è figlio di un ricco mobiliere da cui ha ereditato impresa e ricchezza. Lui rimane, e volentieri da solo, perché forse ora può veramente realizzare quello che ha sempre veramente contato nella sua esistenza. Scrivere un romanzo. Il romanzo che sono le stesse pagine del libro di Desnoes e le sequenze del film di Alea. Il vagare del protagonista per le strade della città, alla ricerca di un nuovo senso, di nuova una storia d’amore, o di un’avventura erotica, è spezzato dalle immagini di repertorio della reale storia cubana, dalla rappresentazione del grande sfoggio di lusso e ferocia repressiva della dittatura, allo sbarco della Baia dei Porci, attraverso cui gli Usa tentarono di rovesciare Castro, alla crisi dei missili sovietici sull’isola, che sospese il mondo sull’orlo di una terza guerra mondiale. Un’opera mirabile, restaurata magistralmente dalla Cineteca di Bologna, grazie al sostegno della George Lucas Family Foundation, che ha letteralmente folgorato il pubblico presente e che dovrebbe essere riproposta in tutte le sale.

Yuli, ossia Carlos Acosta, il più grande ballerino e coreografo cubano tutt’ora vivente a L’Avana. Danzatore che ha calcato i più prestigiosi palcoscenici internazionali, riuscendo a ottenere, per la sua vertiginosa bravura, il primo ruolo di un Romeo nero nella storia del balletto. Questo film è la sua biografia, resa sia come racconto, sia come sua rappresentazione coreografica. Le scene della sua vita – colte fin da quando era bambino nella loro verità più di senso che di fatto – le vediamo trasformate in trascinanti coreografie di danza contemporanea guidate dallo stesso Carlos Acosta di oggi. Uno dei punti di forza del film è la figura davvero potente di Pedro Acosta, il padre di Yuli. Una figura che racchiude dentro di sé tutta la storia dello schiavismo a Cuba. “Tu hai tre secoli di schiavitù alle spalle” dice Pedro a suo figlio, motivandolo a riscattare, attraverso la redenzione l’arte, questa secolare dannazione della sua famiglia, della sua gente. A una nostra domanda, la regista Icíar Bollaín ha risposto che l’interprete Santiago Alfonso non è un attore professionista, ma è stato realmente uno dei maestri di ballo Carlos Acosta fin dai suoi primi passi di danza. Forse per questo la sua personalità riverbera su tutta la vicenda conferendole forza di autenticità. Il film è distribuito da EXIT med!a, una garanzia della sua prossima uscita nelle sale italiane.

 

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