Julian Assange e la macchina del fango.

Sette anni chiuso in una stanza di 20 metri quadrati dell’ambasciata ecuadoregna a Londra. Ora nel più rigido carcere di massima sicurezza del Regno Unito, in uno spazio ancora più angustio e senza la possibilità di ricevere visite private. A giudicare dalla reazione degli stati occidentali, Julian Assange con la sua attività giornalistica ha toccato le corde giuste. Sulla sua testa pende ora la minaccia di estradizione verso gli Stati Uniti con l’accusa di cospirazione per la pubblicazione di documenti diplomatici.

Che la situazione per Assange stesse cambiando era nell’aria già da qualche settimana prima dell’effettivo arresto da parte della polizia britannica. La stessa Wikileaks, di cui Assange è tra i fondatori, aveva denunciato sul suo account Twitter come gli Stati Uniti stessero cercando di istruire un caso per accusare Assange di spionaggio, crimine che negli Usa può portare anche a una condanna a morte. Al di là di ogni personale simpatia o antipatia nei confronti del personaggio Assange, ciò che è in bilico in questa vicenda è il principio di libertà di stampa. Wikileaks è riuscita a dare una dimensione all’effettiva ingerenza nella vita pubblica dei sistemi di spionaggio e sorveglianza americani, diffondendo verità altrimenti irraggiungibili al pubblico. Con un lessico tipicamente orwelliano, i politici e i funzionari dei governi occidentali investiti dagli scandali hanno attaccato la pubblicazione dei documenti con l’argomentazione che avrebbero messo in pericolo la sicurezza della democrazia e del popolo, evidentemente intendendo per popolo essi stessi e per democrazia i loro sistemi di intelligence.

D’altronde su Assange negli ultimi anni era in corso una feroce azione di screditamento della figura. Si era persino arrivato ad affermare che l’hacker australiano fosse poco pulito e non si lavasse. In realtà, il clima era cambiato da qualche tempo con il cambio di governo in Ecuador. L’ex presidente Correa aveva garantito l’asilo politico, mentre l’attuale presidente Moreno era da subito apparso più distaccato. Ha giustificato la sua decisione dicendo che Assange aveva violato le condizioni d’asilo imposti dall’Ecuador. Di certo, è strana la coincidenza con cui l’Ecuador ha ricevuto un finanziamento di 4,2 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale per l’attuazione di un piano di austerità a fronte della difficile situazione economica del paese. Nel frattempo anche l’Onu sta indagando sull’azione di spionaggio che l’Ecuador avrebbe effettuato ai danni di Assange all’interno dell’ambasciata londinese. Secondo l’accusa, tutti i suoi incontri sarebbero stati videoregistrati, anche quelli con i suoi legali, in assoluta violazione della privacy.

di Pierfrancesco Zinilli