La gran mamà con molti figli, una scimmia e un castello

Dal nostro inviato al festival Riccardo Tavani

Fuori la sala del Cinema Farnese, nel sabato sera di Campo de’ Fiori, c’è una fila di spettatori che va oltre il monumento di Giordano Bruno. Molti passanti si avvicinavano e domandano: ma che film c’è? La risposta è un titolo abbastanza lungo e incomprensibile: Muchos Hijos, un mono y un castillo. E che significa? Significa: Molti figli, una scimmia e un castello? Ma che roba è? Un documentario. Come, tutta questa fila per un documentario!? È qualcosa di diversamente travolgente. Ma si trovano ancora i biglietti? Provi al botteghino. Alla cassa del cinema c’è in effetti una nutrita ressa di persone che vogliono comprare il loro ingresso. Ma si deve aspettare che entrinoprima i tanti in coda, per vedere quanti posti liberi restano e quante altre sedie suppletive si possono aggiungere. Il successo della proiezione è poi così così travolgente, che quando le luci si si riaccendono si vede una sala che più che gremita di spettatori lo è di un unico afflato di entusiasmo e affetto. Quando salgono sul palcoscenico il regista Gustavo Salmerón con suo padre Antonio e sua madre Julita, c’è una standing ovation, un’acclamazione all’unisono che fa tremare le pareti del cinema. La vera forza trascinante del filmè proprio Julita Salmerón che il figlio Gustavo ha cominciato a riprendere dal 2004, senza mai smettere, perché come attore era sbalordito dalla spontaneità e verità comico-drammatica che la madre aveva davanti alla macchina da presa. Gli ho chiesto quante ore di riprese avesse girato. Mi ha risposto che sono ben quattrocento trentacinque. Per solo novantuno minuti di film. È la storia della sua normalissima famiglia spagnola, la quale, però, all’improvviso riceve un’eredità che la fa diventare ricchissima. Il titolo si riferisce al fatto che Julita ha sempre sognato di avere tre cose: molti figli, una scimmia per casa e un castello. Tre cose che è riuscita a esaudire. Salvo che poi è riuscita anche ad accumulare una tale astronomica cifra di debiti da dover cedere il castello alla banca creditrice. Campione di incassi, Premio Goya 2018 per il Miglior Documentario, Miglior Film al Karlovy Vary. Imperdibile. Distribuito da Exit med!a, una speranza di vederlo presto anche in Italia.

Il Festival del Cine Español, alla sua terza giornata, aveva iniziato il suo pomeriggio con un altro documentario, Mudar la piel, Cambiarepelle, di Ana Schulz e Cristóbal Fernández. Il genere documentario ha una sua peculiare caratteristica. È quella di farci conoscere vicende, dimensioni piccole o grandi della storia sconosciute. E proprio l’acclamato documentario sulla famiglia Salmerón lo dimostra. Questo Mudar la piel, invece, riguarda quella cruciale pagina della recente storia politica spagnola chiamata questione basca. Juan Gutiérrez, filosofo e ingegnere, fu un oppositore della dittatura franchista costretto all’esilio. Rientra nel 1983 in patria dopo la morte del dittatore. Con sua moglie, la tedesca Frauke Schulz Utermöhl, va a vivere a San Sebastián, chiamata, nella lingua basca Donostia. Qui dà vita a un movimento raccolto attorno al centro di Ricerca della Pace Gernika Gogouratuz, che si richiama sia alla città che al celebre quadro di Picasso, Guernica. Diventa presto mediatore tra lo Stato spagnolo e l’organizzazione armata ETA (Euskadi Ta Akatasuna), che si batte per l’indipendenza del Paese Basco. Questo gli attira un’attenzione particolare da parte dei servizi segreti spagnoli. Al punto che infiltrano una loro spia nella sua associazione. Si tratta di Roberto Flóres, il quale è così bravo da diventare presto non solo il braccio destro e il consigliere più intimo di Gutiérrez, ma da stare quasi sempre dentro casa sua. La vicenda è ricostruita dalla stessa regista e da sua madre,  figlia e moglie di Juan Gutiérrez. Nel 1997 Flóres sparisce, improvvisamente, quanto misteriosamente, senza lasciare alcuna sua minima traccia. Riappare qualche anno dopo, ma in una prigione di Stato. Juan Gutiérrez va a trovarlo più volte e sostiene che Roberto, nella sua lunga internità al movimento pacifista, si era talmente convinto delle sue ragioni da mutare pelle. Proprio per questo lo avevano fatto sparire e poi sbattuto in galera. Ma è davvero così? La regista lo contatta dopo l’uscita dal carcere per farlo partecipare al documentario, ma il comportamento di Roberto è così controverso e inquietante da mettere fortemente in dubbio le convinzioni del padre e il reale svolgimento di quei cruciali fatti storici.

Las distancias, di Elena Trapé, è un interno berlinese, vissuto daquattro catalani in visita a un loro vecchio amico d’università radicato ormai da anni in Germania come fotografo pubblicitario. L’interno, però, non è soltanto quello dell’appartamento di questo amico, ma quello dei loro caratteri, delle vicende presenti e passate che si trascinano dietro anche fuori, tra le strade di Belino. E pure le distanze del titolo non sono tanto quelle geografiche quanto quelle esistenziali. I quattro sono Olivia, Eloi, Anna, Guille, questi ultimi due fidanzati. Olivia è incinta del suo compagno, il quale, però, è rimasto a Barcellona, e la bombarda di messaggi e chiamata per sapere insistentemente come vadano le cose. Arrivano il venerdì pomeriggio per restare il sabato e la domenica successiva, ossia durante tutto il weekend. Cosmas è il neo berlinese, del quale ricorre il giorno successivo, sabato, il compleanno. La gioia di vederli per Cosmas è tale che la notte stessa si squaglia di casa, spegnendo il cellulare per non farsi più trovare. Gli ospiti non hanno neanche un paio di chiavi per uscire e rientrare. Così Olivia si offre di rimanere in casa anche per fare la torta di compleanno e in attesa che l’amico si rifaccia vivo. Il pancione del figlio che Olivia aspetta diventa allora la più vistosa espressione esteriore dell’attesa per il fuggitivo Cosmas. Man mano che la vicenda si svolge emergono le storie, le vere facce individuali, gli intrecci reciproci, le contraddizioni indistricabili, attraverso colpi di scena, incontri inaspettati, improvvise rivelazioni. Con disavventure, smarrimenti, inseguimenti esterni fino a notte tarda. Una vera battaglia interiore che si rovescia sull’ordine non solo dei loro rapporti ma anche su quello dell’interno berlinese che avrebbe dovuto accoglierli. Non sempre, però, il passato ama essere rinverdito e le distanze del tempo annullate. Miglior Film, migliore Regia, Migliore Attrice Protagonista ad Alexandra Jimenéz nel ruolo di Olivia.